«Il Tour de France a fine agosto? Non è una buona idea». È questa la sintesi estrema, ma efficace, dell’inchiesta promossa dall’emittente belga Sporza che ha interpellato tre scienziati di fama mondiale per chiedere il loro parere sulla ripresa del grande ciclismo.
«A meno che il Tour de France non sia organizzato in modo quasi irriconoscibile rispetto al solito, ad agosto ci saranno seri problemi di salute» ha affermato Benjamin Cowie, professore di epidemiologia all'Università di Melbourne.
A preoccupare è soprattutto il pubblico: «Tutti sanno quel che succede su salite mitiche come l'Izoard o il Tourmalet ma anche su quelle italiane, tutti hanno negli occhi le immagini della folla. Correre in quel modo è impossibile» sostiene Stefano D'Amelio, professore di malattie infettive all'Università di Roma.
E anche il Giro rischia di essere sotto pressione: «È molto probabile che arrivi una seconda ondata di infezioni: l’ipotesi su cui lavoriamo ora è che la seconda ondata, che sarà meno grave rispetto alla prima, arriverà a settembre o ottobre, vale a dire proprio nel periodo in cui si correranno il Tour e il Giro. Mi dispiace».
Il rischio è per tutti: «Ci sono prove che i ciclisti diffondano goccioline contaminate, durante lo sforzo, che viaggiano fino a 4 o 5 metri dietro di loro - ha detto Dean Winslow, professore di malattie infettive all'Università di Stanford alzando il velo su un altro pericolo -. Se ci fossero ciclisti nel periodo di incubazione e corressero senza rendersi conto di essere nella fase iniziale di un'infezione, questo potrebbe essere un problema molto serio».
Esistono quindi misure che possono essere adottate per garantire la massima sicurezza? Il professor Cowie nutre dei dubbi: «Ad essere onesti, è molto difficile pensare a misure capaci di rendere sicura l’attività per gli atleti, soprattutto a causa dell'intenso contatto tra i ciclisti e della lunga durata di quel contatto durante un grande giro. I ritiri e la quarantena che le squadre stanno organizzando non possono eliminare completamente il rischio di contaminazione. Se non è possibile mantenere gli spettatori a distanza di sicurezza tra loro e dagli atleti, bisognerebbe che i corridori portassero la mascherina. Ma non credo che nemmeno questa possa essere una misura risolutiva».
E ancora: «Penso che sia molto improbabile che potremo assistere a grandi eventi sportivi nei prossimi sei mesi - ha dichiarato Cowie -. La stragrande maggioranza della nostra popolazione è ancora contagiosa, quindi è estremamente improbabile che gli australiani saranno in grado di lasciare il paese nei prossimi sei mesi…».
«Sono pessimista sul fatto che avremo stadi pieni con decine di migliaia di tifosi fino all'inizio dell'autunno - ha dichiarato il professor Winslow -. Secondo le previsioni qui negli Stati Uniti, non saremo in grado di farlo in sicurezza. E il Tour significa uno stadio pieno ogni giorno...».
La soluzione può essere il vaccino. Ecco il professor D'Amelia: «Quando riusciremo a sviluppare un vaccino, tutto cambierà. Ma prima di essere distribuito, il vaccino deve, ovviamente, essere accuratamente testato e validato. Ciò richiede tempo, perché sono necessari controlli sugli effetti a lungo termine. E poi bisogna essere in grado di produrre e distribuire quantità di vaccino. Non è così semplice…».