Con il suo metro e 53 centimetri Chiara Rozzini tiene a bada muscoli e pensieri degli azzurri, anche di oltre 1.90 mt. Fa sorridere vederla al fianco di giganti come Filippo Ganna e il giovanissimo Jonathan Milan ma la piccola massaggiatrice bresciana, con i suoi 36 anni e un passato da ciclista, è a suo agio e ben integrata in questo mondo di uomini.
Chiara ha corso per 14 stagioni, da quando era bambina alla categoria Elite, poi 10 anni fa quando ha appeso la bici al chiodo e tirato fuori dal cassetto la laurea in Scienze Motorie, ha conseguito il diploma da massaggiatrice ed è andata al velodromo di Montichiari a fare da “piccolo” a Marco Villa. Il CT della pista, con il quale in questi giorni è in Argentina, l'ha messa alla prova e, abitando lei proprio nel paese in cui si trova l'unico velodromo coperto in Italia, l'ha scelta per lo staff della Nazionale Italiana.
Chiara sarà anche bassina, ma come i ragazzi a cui si dedica sogna in grande. Nell'anno olimpico spera di conquistare la convocazione per Tokyo 2020.
Meglio correre in prima persona o assistere gli atleti? «Sono esperienze diverse ma entrambe stimolanti. Io all'ultimo anno con la Fassa Bortolo di Lucio Rigato sentivo di aver dato tutto quello che avevo in sella così, una volta completati gli studi universitari, ho deciso di fermarmi. Oggi sono contenta del mio lavoro e non smetto di formarmi, attualmente sono iscritta alla scuola di osteopatia. Questo è il nono anno che lavoro per la squadra azzurra. Non sono mai stata in Nazionale da atleta, ritrovarmici in un'altra veste è molto bello».
Si dice che un buon massaggiatore debba essere anche un buon psicologo. «È importante saper massaggiare, ma anche preparare tutto quello che serve agli atleti prima, durante e dopo la gara, e ovviamente parlare con loro, se sul lettino hanno voglia di sfogarsi o distrarsi. Tanti di questi ragazzi li conosco da quando erano juniores. Il giorno in cui Pippo Ganna ha debuttato con la maglia della Nazionale tra i professionisti è stato anche il mio primo giorno con la Nazionale strada. Altri li conosco ancora da prima, da quando insegnavo alla scuola ciclismo. Possiamo dire che sto crescendo con loro, altezza a parte (sorride, ndr)».
Com'è essere una donna in questo mondo a netta prevalenza maschile? Qui in Argentina sei l'unica ragazza al lavoro, nelle altre 26 squadre non c'è traccia del gentil sesso. «Eh, diciamo che ci si deve fare un po' le ossa... Per certi aspetti però preferisco lavorare con gli uomini che con le donne perchè sono più “semplici” e schietti. Se hanno qualcosa da dirti lo fanno in modo diretto, noi ragazze invece ci giriamo più attorno e complichiamo le cose inutilmente».
Aneddoti curiosi del tuo lavoro? «Con i giovani ne capitano di tutti i colori, ma per la mie misure forse la situazione più assurda che ho vissuto è dover tenere alla partenza dell'inseguimento a squadre un ragazzo di quasi due metri, reggevo il suo sellino con il suo fondoschiena in faccia e senza vedere assolutamente nient'altro davanti a me (sorride, ndr)».
Un sogno professionale da realizzare? «Prima c'erano gli europei e i mondiali, ora come tutti ho in testa le Olimpiadi. Incrociamo le dita dai...».