Sarà anche una specialità virtuale, ma l'inganno è assolutamente reale. Fa parte dell'uomo, è connaturato nel nostro DNA: la scorciatoia, la furbata, la furbizia è sempre lì in agguato, pronta ad entrare in azione. E passata solo una settimana da quando la federciclo mondiale (Uci) ha annunciato la grande svolta del 2020: l’organizzazione dei primi Mondiali di ciclismo virtuale. Anche la bicicletta entra di prepotenza negli eSports grazie alla piattaforma universale della start-up Zwift. Come spiega perfettamente Luca Gialanella sulla Gazzetta dello Sport di oggi «sono sufficienti una connessione a internet, la bici, un computer sul quale scaricare l’applicazione e un rullo intelligente che agisce sulla ruota posteriore e dialoga con il programma attraverso il protocollo Ant+ (il modo di trasmissione dei dati) per riprodurre fedelmente un percorso».
Bene: adesso però - grazie alla Gazzetta - si viene a sapere che c’è già stato il primo caso di doping «virtuale», svelato da una email anonima ricevuta da British Cycling. E’ accaduto a marzo nei campionati britannici. Il primo dopato virtuale è assolutamente reale e ha anche un nome e un cognome, oltre che una nazionalità: è britannico e si chiama Cameron Jeffers. È stato incolpato di aver manipolato i suoi dati pre-gara prima della finale, da lui vinta. Jeffers ha creato nel software una sua identità virtuale, un Avatar, con un peso di 45 kg, ed è stato poi sbloccato il meccanismo della bici Zwift sulla quale pedalava. Hanno insospettito, in particolare, i 2000 watt di potenza toccati in più occasioni in gare superiori ai 200 km.