Eugenio Alafaci è costretto a mettere il piede a terra. Il 29enne di Carnago (Va), professionista dal 2014 al 2018 alla Trek e da quest’anno in forza alla Evo Pro Cycling, appende la bici al chiodo dopo una vita passata in sella.
«Purtroppo da tempo soffro del restringimento dell’arteria iliaca femorale (lo stesso problema per cui quest’anno si è operato Fabio Aru, ndr) e nonostante cinque operazioni non c’è modo per me di pedalare come vorrei. Sono finito sotto i ferri la prima volta da dilettante e per i primi 2-3 anni da professionista sono stato bene, dopodiché ogni anno i dolori e i conseguenti cali di prestazione si ripresentavano. Da allora una stagione intera non sono mai riuscito a farla e, intervento dopo intervento, l’efficacia risultava sempre inferiore. Non arrivando il sangue alla gamba sinistra non riuscivo a spingere sui pedali, finché ho potuto ho camuffato il problema, ma ormai è ora di arrendersi davanti a qualcosa più grande di me - spiega Eugenio a tuttobiciweb. - I medici dicono che può essere dovuto a una questione genetica, che con il movimento della pedalata l’arteria torna a restringersi e ormai non c’è nulla da fare se non pensare di sostituire totalmente l’arteria ma sarebbe una cosa da pazzi. Ho sempre vissuto male questa situazione, dopo ogni operazione sembrava fosse tutto ok invece dopo due mesi tornavo a peggiorare. L’ultima operazione a cui mi sono sottoposto risale a giugno, dopo un mese nel quale ho disputato solo una gara in Belgio avvertivo già dolori. I dottori questa volta mi hanno detto che continuando a insistere rischio una trombosi, non è proprio il caso di mettere a repentaglio la mia vita. Speravo davvero di poter risolvere la questione una volta per tutte, non essendo possibile smetto senza pensieri».
È dispiaciuto Eugenio, ma sereno. E pensa già a un nuovo mestiere, che spera abbia sempre a che fare con il mondo del ciclismo. «Questo sport mi ha insegnato che niente è regalato, che devi lottare per raggiungere un obiettivo, se non lo fai tu, lo fa qualcun altro e ti frega. Correndo in bicicletta ho imparato il sacrificio e avendo la fortuna di aver corso per una squadra americana, ho imparato con facilità una lingua che ora mi tornerà utile per reinventarmi. Io che a scuola ero una capra, ora so l’inglese e posso dire di aver viaggiato in bellissimi posti, sempre grazie alla bici».
Il bagaglio d’esperienza accumulata se lo porterà appresso con orgoglio. «Questo è il mondo in cui sono cresciuto e che tutt’ora amo. Vorrei continuare a restare nell’ambiente, se non sarà possibile troverò qualcos’altro che mi renda felice e mi dia soddisfazione. Prima di salutarvi permettetemi qualche ringraziamento. Non sarei riuscito a tener duro fino ad oggi se non fosse stato per i miei genitori, che mi sono sempre stati vicini, e per la mia fidanzata Nicole. Devo ringraziare tutti i ds che mi hanno seguito fin da quando ero un bambino, Marco Dalla Vedova che mi ha seguito da Junior, Stefano Pedrinazzi tra gli Under 23, Adriano Baffi grazie al quale sono arrivato alla Leopard e poi in Trek, quindi Luca Guercilena e tutta la Trek che per me è stata una vera famiglia. Sono ancora in contatto con compagni e staff, con tutti è rimasto un bel rapporto, a partire dal mio amico Giacomo Nizzolo».