È un passaggio naturale, inevitabile, praticamente obbligato per chiunque faccia sport, racconti sport o discuta di sport. Si chiama paragone e più è impossibile meglio è. Perché alimenta dibattiti, speranze e verdetti.
Sono centinaia i calciatori etichettati come il nuovo Pelé o il Maradona del futuro e nel ciclismo non si contano gli eredi designati di Coppi, Merckx e Hinault, puntualmente mai arrivati alla fama dei predecessori pur facendo una buona carriera.
Ne abbiamo sotto gli occhi un esempio probante con Remco Evenepoel, etichettato in Belgio come il nuovo Merckx e seguito nella sua prima corsa in Patria da professionista, la Nokere Koerse, come una vera e propria star.
Ma c’è un altro giovane talento che si trova, suo malgrado, costretto ad affrontare paragoni importanti: è Egan Bernal, la stella del Team Sky che da oggi diventa Team Ineos.
Lo splendido successo ottenuto dal ventiduenne colombiano (è nato a Zipaquirá il 13 gennaio 1997) alla Parigi-Nizza ha subito scatenato i paragoni perché Bernal ha vinto la Corsa del Sole prima di Merckx (che la vinse a 23 anni) e prima di Contador (24).
Poco importa risalire alle circostanze storiche (Merckx per esempio alla sua prima partecipazione fu quarto dietro Jacques Anquetil, Raymond Poulidor e Vittorio Adorni...), quel che conta è il dato statistico e l’impresa di oggi che ci consegna un Egan Bernal campione fatto, con margini di miglioramento ancora tutti da esplorare.
La sicurezza con la quale il colombiano ha lavorato nei primi giorni di gara a favore di Michal Kwiatkowski per raccoglierne poi l’eredità come leader della generale sul Col de Turini e gestire poi da consumato pedalatore gli attacchi di Nairo Quintana nella tappa conclusiva, è stata davvero impressionante. Mai una pedalata di troppo, mai una goccia di sudore sprecata, mai un gesto fuori posto.
«Non posso crederci di aver appena vinto la Parigi-Nizza» sono state le sue prime parole sul traguardo finale di Nizza.
Seguite da una spiegazione disarmante: «Quando alcuni avversari mi hanno attaccato (Quintana in primis, ndr) avevo le gambe per poter rispondere, ma sapevo anche di avere accanto a me una squadra fortissima e quindi non ho mai perso la calma, ho preferito affrontare la corsa con lucidità e il risultato finale mi ha dato ragione».
La calma e la capacità di gestire la corsa del giovanissimo colombiano, che avrebbe potuto perdere la trebisonda quando la Movistar ha attuato il suo piano strategico, sono un segnale davvero importante e la dicono lunga sulle qualità di questo ragazzo che è cresciuto in Italia alla scuola della Androni Sidermec e che nel nostro Paese conserva tanti tifosi e addirittura un Fans Club in terra di Piemonte.
Fin da quando lo ha scoperto, alla vigilia della stagione 2016, Gianni Savio ha sempre cantato le lodi del suo pupillo: «Questo ragazzo ha tutte le carte in regola per arrivare a vincere il Tour de France, dobbiamo solo lasciargli il tempo di crescere».
Sta crescendo, Egan, e anche più in fretta del previsto. Intanto tra pochi giorni si misurerà con il Giro d’Italia, che affronterà con i galloni di capitano sulle spalle e contro una lista di pretendenti al successo finale davvero di altissimo livello.
Sarà un banco di prova importante per un corridore che va forte in salita e che a cronometro si difende da par suo (alla Parigi-Nizza è giunto sesto nella tappa di Barbentane, 25 chilometri, a soli 15” dal vincitore Simon Yates), ha carattere e una determinazione feroce.
E che potrà sfruttare un vantaggio non indifferente per un colombiano, vale a dire quello di correre praticamente in casa in due frazioni chiave della corsa rosa, quella di Ceresole Reale e quella di Courmayeur. Sono le salite che per anni ha percorso in allenamento, sfruttando i preziosi consigli di Giovanni Ellena dall’ammiraglia: Egan conosce ogni curva, ogni tornante, ogni metro di quelle salite. E in più avrà la gente dalla sua. In pratica, le condizioni ideali perché una rosa fresca sbocci sulle strade del Giro...