Caro Direttore,
secondo la comune opinione, il ciclismo è ritenuto un semplice sport. Per la severa dedizione e il sacrifico che ne impone l’esercizio professionale, personalmente mi ostino a definirlo, con il rispetto e - diciamolo ! - la nobiltà che merita, una Disciplina Sportiva .
È tutto un altro paio di maniche, che poco ha da spartire con quello sport “bello”, “ appassionante”, “spettacolare” o altre simili amenità con cui lo si possa qualificare da spettatori-tifosi comodamente in poltrona o, nel più performante modo di goderne le prestazioni agonistiche, standosene a bordo strada.
Sfido chiunque, compresi i corridori attori protagonisti e senza l’alibi di controfigure di sorta, a poter sostenere che “si divertono” a fare il lavoro del Ciclista Professionista.
Ad avvalorare ciò che ho l’ardire di affermare, ritengo che possano efficacemente valere le emblematiche parole di un ragazzo che al ciclismo ha dato tantissimo, ricevendone in cambio ben poco, soprattutto a livello umano: Marco Pantani, il mai abbastanza rimpianto Pirata.
Vorrà pur dire qualcosa se, a motivare la furia e l’ardore con cui aggrediva le montagne, proprio il Magnifico Scalatore adduceva la volontà di “abbreviare l’agonia” dell’immenso sforzo per... domare le asperità delle salite !
Qualcuno, poi, lo ricorda quell’altrettanto Magnifico Corridore, velocista per eccellenza, che rispondeva al nome di Marcel Kittel?
Certo che lo dico: uno spettacolo ammirarlo nel suo esercizio preferito, mix di potenza, coraggio e classe. Per di più, fotogenico e uomo da copertine, non solo sportive. Insomma, un moderno “personaggio”.
Non mi pare che gareggiasse nella preistoria ciclistica: anche lui, come Tom Domoulin, se ne uscì con la patetica scusa dell’esigenza di una “pausa di riflessione”. Varie, più o meno chiare e chiarite, le ragioni di questa decisione. Qualcuno lo ha più rivisto in azione? Io no, purtroppo.
Ovviamente sbaglierò (me lo auguro davvero) ì, ma si alimentano dubbi preoccupanti e si aprono scenari ben poco rassicuranti allorquando un altro campione com’ è lo splendido corridore olandese, all’atto di ...interrompere quella che di fatto è diventata la sua quotidianità, testualmente dichiara: “...Adesso è il tempo di fare chiarezza con me stesso. Forse voglio essere ancora un ciclista professionista, ma devo iniziare a curarmi di meno di ciò che pensano gli altri, e fare un mio piano...”.
Mai come in tal caso, le parole sono come pietre. Altroché pausa di riflessione. A casa mia, questo è un atto d’accusa, e neanche tanto velato. Non so, e non sta comunque a me dirlo, se mosso al suo Team, o ad un “sistema” Ciclismo che solo chi non voglia vedere, limitandosi a guardare, o che ritenga che l’ipocrisia sia una gran virtù, può definire ideale.
Sta di fatto che è innegabile l’amara sensazione che, a fare finta che tutto vada bene così e che, come affermano spudoratamente tante anime belle, “...adesso il ciclismo è cambiato, non è più come prima...”, si perdano irrimediabilmente dei corridori che acquisiscono la consapevolezza di essere soprattutto, e prima, degli uomini.
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi