Una sessantina di giorni in corsa per oltre 10000 km. Questi i numeri di Simone Consonni, il “braccio destro” di Elia Viviani, alla sua prima stagione nella Cofidis. Il bergamasco si è “sparato” a pochissimi giorni di distanza, uno dietro l’altro, il Tour de France e il Giro d’Italia, concludendo entrambe le grandi corse a tappe e già solo per questo merita un grandissimo applauso. Su strada, il miglior risultato è stato il secondo posto ad inizio stagione il 25 gennaio nella quinta tappa del Santos Tour Down Under alle spalle di un certo Giacomo Nizzolo che poi avrebbe trionfato all’Italiano e all’Europeo. Su pista Simone ha messo in bacheca due preziose medaglie al Mondiale di Berlino: il bronzo col quartetto azzurro nell’inseguimento a squadre e l’argento individuale nello scratch. Come da tradizione Consonni, che vive a Lallio alle porte di Bergamo con la compagna Alice Algisi (ex professionista), si presta volentieri alla chiacchierata di fine anno e approccio alla nuova stagione.
Che bilancio tiri del 2020 tra strada e pista?
«Negativo. Alla fine, la verità è che sono andato alla Cofidis per dare una mano a Viviani per vincere più corse e invece, per un motivo o per l’altro, non ne abbiamo vinta neanche una. Quindi annata insufficiente. Per la pista il bilancio è invece positivo, così come lo è stato per gli azzurri in generale. Nel quartetto dell’inseguimento la medaglia di bronzo al Mondiale è importante, ma la grande impresa sta nel tempo che abbiamo fatto. La terza miglior prestazione di tutti i tempi, davanti ci sono solo i danesi che hanno fatto meglio di noi nella semifinale dove ci hanno superato e poi anche in finale. L’argento nello scratch è una bella soddisfazione personale, una medaglia in più in bacheca, ma mi manca sempre quella d’oro: non sono mai stato campione europeo o mondiale».
Il 2020 va in archivio come una stagione monca e compressa. Cosa è cambiato e cosa è mancato?
«E’ cambiato di sicuro il difficile recupero tra una corsa e l’altra, visto che si correva di continuo. Io ho fatto i due grandi giri a tappe,Tour de France e Giro d’Italia, tra settembre ed ottobre ed è stato difficilissimo portarli a termine. In Francia ho fatto tanta fatica ma la mente era sgombra, al Giro all’inizio nelle gambe sentivo gli sforzi fatti al Tour, poi alla fine, oltre ad essere debilitato fisicamente, anche la testa faceva fatica ad andare avanti. E’ stata una bella sfida che sono riuscito a vincere, un bel traguardo per un velocista arrivare fino in fondo in queste due grandissime corse a tappe, ma al Giro nelle tappe di montagna durissime è stato un calvario: contavo i chilometri ad uno ad uno per portare la bici all’arrivo. Sul cosa è mancato alla fine per quel che riguarda le corse dico... poco e niente, e se andiamo a vedere i risultati a vincere sono stati quelli che potevano vincere. L’unica cosa, ma importantissima, che è venuta a mancare è stato l’affetto ed il calore del pubblico. L’atmosfera delle corse, la partenza e l’arrivo, quell’emozione che solo i tifosi possono regalarti è stata la cosa essenziale che non c’è stata».
Elia Viviani?
«Secondo me le zero vittorie di Elia non sono “causate” da Elia. Nel senso che ci sono stati tanti fattori a determinare questa mancanza assoluta di risultati. La Cofidis non era abituata a fare un certo tipo di lavoro, era una squadra sempre votata all’attacco, e quindi ha dovuto imparare a pensare in modo diverso, mentalmente non era abituata a tenere la corsa chiusa per aspettare la volata. Poi c’è stata la sfortuna: in Australia avevamo iniziato bene, il gruppo era affiatato, unito, concentrato, in crescita, ed i meccanismi iniziavano ad ingranare. Però Elia è caduto dopo due tappe e questo ha rovinato tutto, poi c’è stato lo stop per il Covid-19 e al rientro alle corse abbiamo invano cercato di ricreare quel gruppo per tanti motivi - vedi defezioni e altro - ed è stato un vero peccato».
A fine luglio 2021 dovrebbero svolgersi a Tokyo le Olimpiadi slittate lo scorso anno…
«Per me cambia solo l’anno: l’obiettivo, la determinazione, la consapevolezza e la voglia sono le stesse che avevo ad inizio 2020. L’Olimpiade è un qualcosa che fa la differenza, non c’è niente cosi grande come vincere una medaglia ai Giochi Olimpici. Il gruppo azzurro sui pista c’è, è forte, e siamo tutti vogliosi di vivere appieno questa esperienza olimpica, abbiamo appena finito un raduno al velodromo di Montichiari e in tutti c’è questa consapevolezza».
La vita di tutti è cambiata per il Covid-19. Come hai vissuto questa novità, visto che i corridori sono in giro per il mondo per tanti mesi e invece ti sei ritrovato molto tempo a casa?
«La grande differenza del 2020 è stata proprio questa per noi, abituati a stare moltissimo fuori casa per le corse e i ritiri. Sinceramente pensavo fosse più difficile stare a casa, tra l’altro la nostra dimora è piccola e ha spazi ristretti. Però devo dire che ho passato un anno sereno con Alice e questo è un qualcosa di cui vado fiero e ne sono molto contento. Il rapporto con lei mi ha lasciato piacevolmente sorpreso, nel passare tanto tempo assieme è stato bello capire, e sapere, di avere accanto una persona con cui stai bene».
Preparazione?
«Sta procedendo bene. E’ stato un inverno atipico, senza vacanze… Mi sono organizzato così: riscaldamento a manetta, divano e birretta con il mare sullo schermo della televisione… Dopo l’ultima tappa del Giro d’Italia il 25 ottobre per tre settimane intere non ho più messo la tutina, ero stremato. Poi pian piano ho ricominciato: i due preparatori della Cofidis ci tengono monitorati, poi io da un anno e mezzo lavoro con Luca Quinti, preparatore atletico di Nova Milanese e mi trovo molto bene con lui. Ho visto che su strada sto iniziando a migliorare, voglio tornare quello che ero nei dilettanti dove tenevo anche su percorsi misti, più duri. A parte la domenica che è di sacrosanto riposo, in settimana un giorno lo dedico alla pista a Montichiari, il resto tra palestra e bici con al massimo 5 ore. Abbiamo formato un gruppetto di professionisti bergamaschi della zona e ci ritroviamo ad allenarci assieme: c’è Lorenzo Rota, Fausto Masnada, Filippo Zaccanti e da poco è arrivato anche Nicola Conci che si è trasferito e ora abita a Bergamo. Le mete preferite il Lago di Sarnico oppure, quando si fanno lavori in salita, la Roncola o il Selvino».
Quando è in programma il raduno della Cofidis?
«Io ed Elia dovevamo iniziare la stagione dal 24 al 31 gennaio in Argentina alla Vuelta a San Juan, ma sembra oramai certa che la corsa a tappe non sarà aperta ai team europei a causa del Covid-19. Quindi il programma è da rivedere: o vado al primo raduno dal 10 al 21 gennaio a Benidorm in Spagna o a quello successivo dal 26 gennaio al 9 febbraio sempre in Spagna, ma in altura a Sierra Nevada».
A questo punto anche i programmi per le prime corse stagionale sono cambiati?
«Sì, va ridisegnato un po’ tutto. Di sicuro resta nel programma per il “gruppo Elia” l’UAE Tour dal 21 al 27 febbraio, poi sarà da vedere a quali corse potremo essere presenti. In generale se tutto va bene e l’Olimpiade sarà confermata mi piacerebbe tenere il piano previsto lo scorso anno, e poi forzatamente cambiato, con Giro d’Italia e poi la preparazione di un mese e mezzo necessariamente finalizzata ai Giochi».
La vittoria ti manca dal 2018 in Slovenia. E’ un cruccio?
«No. Il primo obiettivo è sempre portare Elia al successo, la vittoria personale non è un pallino sul quale mi fisso e mi angoscia. Semmai quello che vorrei, come ho detto prima, è tornare competitivo nei percorsi misti e duri. Più che un velocista mi piacerebbe diventare un corridore alla Trentin».