Port Elizabeth, in Sudafrica, è una splendida città sul mare che ha ospitato sabato e domenica 1 e 2 settembre gli ultimi mondiali di triathlon su distanza di mezzo Ironman, vale a dire 1,9 km di nuoto, 90 km di ciclismo e infine la mezza maratona, 21 chilometri di corsa a piedi.
Triatleti professionisti e amatori, i migliori selezionati dal circuito di gare che si svolgono in tutto il mondo, si sono sfidati in quello scenario mozzafiato che è la Nelson Mandela Bay. Nuoto nell’oceano, ciclismo su un percorso molto tecnico (con circa 900 metri di dislivello) reso ancora più impegnativo dall’asfalto rugoso e ondulato, tutt’altro che perfettamente piatto, infine la corsa a piedi tutta in città con una cornice di pubblico incredibile. Stimate circa 250mila presenze.
Personalmente ho guadagnato la mia qualifica a Zell, in Austria, nell’agosto 2017 ottenendo il quarto posto di categoria con successiva slot (la qualifica) tra le sei disponibili per il mio gruppo di età. Da quel momento è iniziato il lungo cammino che mi ha portato alla prova clou dell’anno. Ci vuole circa un giorno di viaggio per raggiungere Port Elizabeth, tre voli con scali a Dubai e Cape Town e un ultimo volo interno per raggiungere la “friendly city”, come dicono i locali, che si adagia sulla baia dedicata al premio Nobel e storico leader per la lotta all’apartheid.
Grande fortuna, non c’è fuso orario da smaltire, stessa ora di casa, quindi dopo un giorno il viaggio è più o meno smaltito se si riesce a riposare sull’aereo. Io sono arrivato il lunedì precedente l’evento, cosa che mi ha consentito di sfruttare tutti i vantaggi del programma tecnico messo a disposizione degli atleti dall’organizzazione, impeccabile anche in questo. Nuoto nella baia su un percorso a due boe di circa 600 metri protetti dalle moto d’acqua e dalle canoe (il pericolo squali esiste) e ciclismo scortati dalla polizia per uscire dalla città e affrontare una parte del percorso, circa 45 chilometri, insieme agli altri triatleti (ogni volta circa 3-400 presenze). Organizzazione, come detto, di altissimo livello sia nella parte puramente tecnica (consegna numeri e dotazione per la gara, briefing e allestimento zone cambio) sia in quella relativa alla sicurezza con percorsi di ciclismo e corsa a piedi interamente chiusi al traffico per tutti e due i giorni di gara.
Sabato 1 settembre la prova femminile, il giorno successivo, domenica 2 settembre, quella maschile. Ad aprire le prove i professionisti, primi a partire alle 7.30, e a seguire tutti gli altri suddivisi negli age group, le categorie di età con sistema rolling start, dieci concorrenti ogni dieci secondi per non creare gruppi folti in acqua e prevenire in un certo senso anche i gruppi in bici, dove la scia tra atleti non è consentita (si deve stare ad almeno sei biciclette di distanza dal ciclista che precede). Sono regolate anche le operazioni di sorpasso, massimo 25 secondi per passare altrimenti si deve stare dietro.
La mia gara è andata bene, come da programma. Un buon nuoto nell’oceano, per me che non nuoto mai in acque libere è stato fondamentale. La frazione di ciclismo è stata più che soddisfacente, con un percorso molto più difficile di quello rilevato sulla carta. Continui saliscendi, asfalto rugoso e irregolare, in più pioggia dall’inizio alla fine a rendere il tutto ancora più impegnativo e pericoloso. La mezza maratona cittadina ha risolto i problemi di scoramento che ad un certo della gara arrivano per tutti, campioni compresi. Il folto pubblico presente su tutto il percorso ha dato quella spinta necessaria a completare gli ultimi chilometri, quelli più difficili per l’esaurimento fisico e psicologico. Per me un 21mo posto finale di categoria (50-54 anni) come giusto premio per una preparazione lunga e meticolosa.
Tra i professionisti vittoria di Jan Frodeno in campo maschile su Alistar Brownlee (tre medaglie d’oro olimpiche in due) davanti allo spagnolo Javier Gomez, campione uscente. Una gara stratosferica corsa a ritmi folli, mezza maratona in 1h06’ per il campione tedesco. Tra le donne si è confermata la svizzera Daniela Ryf, quarto titolo consecutivo e record, che ha preceduto la britannica Lucy Charles, terza la tedesca Anne Haug. Da segnalare (purtroppo) la totale assenza di atleti italiani, sia uomini sia donne tra i professionisti. Il miglioramento dovrebbe passare da questo tipo di gare, anche a costo di prendere sonori schiaffoni da questi incredibili campioni. Folta, invece, la pattuglia degli age group con ben 121 presenze.