Trentenne torinese, da cinque anni residente nel Principato di Monaco, Fabio Felline in questo incredibile e drammatico 2020 ha tagliato il traguardo dell’undicesimo anno tra i professionisti. Questa stagione, la prima nell’Astana Pro Team, doveva essere un anno importante, quello del rilancio per il talentuoso corridore che ha colto risultati importanti in carriera ma non è mai del tutto riuscito a far esplodere le sue indubbie potenzialità.
Non è stato certo fortunato, il piemontese, che sin dalle corse nelle categorie giovanili aveva impressionato per risultati e modo di muoversi nel gruppo. La pandemia ha purtroppo violentemente rimescolato tutte le carte in tavola e Felline - dopo circa 2000 km di gare nell’abbrivio di stagione - è stato costretto a fermarsi, come hanno fatto tutti del resto.
Il torinese aveva esordito con il team kazako in Australia al Santos Tour Down Under dove come miglior risultato ha ottenuto il 5° posto nella seconda tappa; poi altra breve corsa a tappe in Francia al Tour de La Provence e quindi due classiche del pavé in Belgio, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne e la Omloop Het Nieuwsblad Elite.
«Il mio programma era incentrato sulle corse di primavera e quello che è accaduto mi ha fatto saltare tutti i piani - spiega il torinese, da tre anni fidanzato con Nicoletta -. Nel 2019 per tanti problemi non sono mai entrato nei primi dieci al traguardo, quest’anno avevo iniziato bene con un quinto e un nono posto in Australia. Poi sono andato in ritiro al Teide alle Canarie e sono tornato a correre a febbraio in Francia per quella che era una corsa a tappe più adatta agli scalatori, nella quale ho aiutato la squadra che è andata forte vincendo con Vlasov e sfiorando il bis con Lutsenko. Nelle due gare in Belgio ho fatto degli errori io e non sono riuscito a fare bene, ma in definitiva la mia partenza di stagione la giudico positiva. Il bello doveva arrivare quando c’è stata la chiusura totale: il clou del mio programma erano le Classiche del Nord col pavé, con l’opzione del Giro delle Fiandre, poi ancora ritiro al Teide e quindi Giro d’Italia. Tutto è saltato purtroppo e adesso con la squadra bisognerà decidere cosa fare col nuovo calendario che per forza di cose è molto concentrato».
Il rapporto con l’Astana Pro Team come è stato in questa anomala situazione di quarantena?
«Ci si sentiva settimanalmente con i direttori sportivi, quelli che mi seguono sono Zanini e Martinelli; il team via mail ci ha tenuto sempre aggiornati su come organizzare gli allenamenti, sui prossimi ritiri e sul nuovo programma di corse, sempre che vada tutto bene e si possa ripartire. Io sono convinto che sarà giugno il mese cruciale per tutto: se ci saranno le conferme che la situazione sanitaria è migliorata veramente, allora anche il ciclismo potrà ripartire».
Il 2017 è stato sicuramente un buon anno per te: splendido trionfo in solitaria nella prima corsa italiana, il Trofeo Laigueglia in Liguria, ottime prestazioni in Belgio con il 16° posto alla Liegi-Bastogne-Liegi e 19° al Giro delle Fiandre, due delle cinque classiche monumento. Che rapporto hai con queste splendide e immortali gare?
«Sono tutte corse che mi piacciono tanto, nelle quali ho dimostrato di poter non dico vincerle, ma di sicuro essere competitivo. Se riuscissi a ritrovare la condizione del 2017, quando non sono andato lontano dai primi, mi piacerebbe riprovare ad entrare nei 10 o anche nei 5 al traguardo. Non sono un fenomeno, ma quell’anno stavo veramente bene e i risultati parlavano chiaro. Al Fiandre ho lavorato sodo per la squadra e alla fine sono comunque arrivato davanti. Stesso discorso per la Liegi e alla Omloop Het Nieuwsblad (una volta denominata Het Volk, ndr) dove ho sfiorato il podio chiudendo al quarto posto, staccando il gruppetto degli inseguitori e arrivando alle spalle di corridori del calibro di Van Avermaet, Sagan e Vanmarcke. Non sono mai stato un campione tale da far dire alla squadra: oggi si corre per Fabio. Ma in quella stagione non mi sentivo lontano da quei campioni e penso di poter ritornare a quel livello, a respirare quelle sensazioni. Il 2016 era stato l’anno condizionato dal grave infortunio alla Amstel Gold Race e la stagione seguente ero arrivato al via preparatissimo dopo aver passato un ottimo inverno e andavo veramente forte. Correvo nella Trek Segafredo ed era arrivato Alberto Contador, per cui avevo le motivazioni alle stelle visto che in squadra c’era il campionissimo spagnolo. Poi non sono stato troppo fortunato, ho avuto grossi problemi con la toxoplasmosi prima e una lesione al tendine poi, oltre a qualche altro incidente: tutte situazioni che non mi hanno permesso di allenarmi bene e di conseguenza raggiungere buoni risultati. In tre anni ne ho persi più della metà per motivi non dovuti alla mia volontà, e sinceramente non era piacevole leggere, o sentire, le critiche di chi diceva che Felline non aveva voglia di fare sacrifici, non aveva voglia di fare il corridore. Cose che fanno decisamente male...».
Passiamo alle classiche in Italia: più che buono il tuo feeling con le Strade Bianche dove ti sei piazzato 8° nel 2015 e 13° nel 2013. Un po’ più complicato il rapporto con la Classicissima Milano-Sanremo dove come miglior risultato hai la 20a piazza nel 2014.
«La Sanremo del 2014, ricordo, era quella che pioveva e faceva un grandissimo freddo, noi avevamo Cancellara in squadra e quindi giustamente si lavorava per lui e non ci si poteva muovere. Nel 2015 sempre per il campione svizzero ho chiuso il buco sul Poggio e poi non ne avevo più, nel 2017 avevo forato prima del Capo Berta ma sulla Cipressa ero già tornato davanti, però lo sforzo di rincorrere da solo in una corsa di 300 km alla fine ti chiede il conto. Voglio dire che la Sanremo è una corsa che sento, sono piemontese e da ragazzino andavamo spesso ad allenarci su quelle strade, d’inverno il ritiro era sempre in Liguria. Sulla carta è una corsa perfetta per le mie caratteristiche, ma bisogna dimostrarlo… Per quel che riguarda le Strade Bianche, il mio miglior piazzamento l’ho ottenuto all’esordio dove ero stato di supporto a Cancellara che però ad un certo punto si era piantato e così ho fatto la mia corsa. Anche con questa gara ho un buon feeling».
Sei capace di destreggiarti su ogni percorso e vai bene anche a cronometro, lo dimostrano i risultati come il successo nel 2017 ad Aigle in Svizzera nel prologo del Tour de Romandie o i podi tricolori con l’argento nel 2018 e il bronzo nel 2017.
«Andare forte al giorno d’oggi a cronometro è determinante se vuoi curare la classifica sia di una breve corsa a tappe che naturalmente di un Grande Giro. E’ una specialità che mi piace e alla quale voglio continuare a dedicarmi, era un obiettivo con l’Astana per questa stagione. Non sono un cronoman puro che nella corsa singola emerge, piuttosto uno che va bene quando la crono è inserita in un contesto di altre tappe dove contano tante altre cose: la fatica fatta, la capacità di recuperare in fretta da un giorno all’altro, e altro».
Una carriera nella quale la dea bendata spesso ti ha girato le spalle. Ma a parte questo hai qualche rammarico?
«Vincere una Classica del World Tour è una cosa grandissima. Vincere una tappa in uno dei tre Grandi Giri è una cosa grande. Palesemente poteva cambiare la mia immagine il fatto di vincere almeno una frazione al Giro d’Italia, il mio rammarico è proprio quello: ho fatto tre secondi posti alla corsa rosa senza mai riuscire a tagliare primo il traguardo. Ho conquistato la maglia verde della classifica a punti alla Vuelta nel 2016, ma mi dispiace moltissimo non aver mai vinto una tappa in questi tre Grandi Giri».
Giugno decisivo per la ripartenza, hai detto. Il programma ora ancora non ce l’hai, ma per questi prossimi frenetici mesi di gare hai il classico “sogno nel cassetto”?
«Non specifico la gara, ma il mio sogno è tornare ad alzare la braccia al cielo sotto lo striscione d’arrivo, non mi importa dove. L’ultima volta che ho sorriso è stato nel 2017, mi manca non esserci più riuscito».