Comasco di Binago, con cuore valtellinese e stille di Sardegna nelle vene, Alessandro Fancellu è il corridore più giovane della Eolo Kometa (compirà 22 anni il 24 aprile) nonché uno dei talenti d'altura di maggior potenziale nel ciclismo italiano.
Potenziale rimasto per ora "in sordina", e proprio per questo c'è grande curiosità attorno ai suoi margini di miglioramento e al suo percorso. Un percorso che ha ricevuto una battuta d'arresto la mattina del 15 settembre, quando un incidente con un Suv mentre si allenava in riva all'amato lago gli ha procurato fratture al polso destro e al volto. Abbiamo raggiunto telefonicamente Fancellu per sapere come sta e fare il punto su carriera e futuro.
Innanzitutto ti chiediamo se hai recuperato dall'infortunio patito 4 mesi fa:
«Toccando ferro, sta andando tutto bene. Nel mese post-incidente non ho potuto far niente, dopodiché la preparazione fino a Natale è stata bella impegnativa. Ho pensato soprattutto a fare fondo e passare più tempo possibile in bici, ora col nuovo anno sto inserendo programmi ad alta intensità.»
In quel mese di settembre, peraltro, eri "fermo" da aprile: l'ultima gara a cui avevi preso parte era il Tour of the Alps. Come mai?
«Colpa di alcuni problemi fisici, solo ad agosto ero tornato ad allenarmi decentemente.»
Fai parte della famiglia Kometa dal 2019, quando eri ancora dilettante (fresco di bronzo mondiale juniores da corridore della Canturino) e ancora non era arrivato Eolo. Poi il passaggio in Continental, con Ivan Basso a ringraziarti pubblicamente per essere rimasto nonostante la possibilità di salire di categoria altrove, infine in Professional con nuovi sponsor, colori, nazionalità (da spagnola a italiana) e bici (le Aurum di Alberto Contador). Cosa ti lega così tanto a questa squadra?
«Vivere dall'interno l'evoluzione di un team del genere è fantastico, si vede che la struttura cresce e gli organici si arricchiscono, e al contempo i valori sono sempre quelli portati avanti dalla Fondazione Contador. Il fulcro resta intatto ma di anno in anno si fa uno step verso l'alto: è una delle Professional meglio organizzate. E sentire che, in questa sua crescita esponenziale, la squadra continua a darmi fiducia mi motiva moltissimo. L'ho percepito fin da subito come un bel progetto, e quando si è trattato di passare da dilettante a professionista non c'era motivo di cambiare.»
Una fedeltà confermata dal fatto che, dopo essere entrato due anni fa nell'orbita della Trek Segafredo, fai ancora parte del team di Basso e Contador: i discorsi con la World Tour statunitense sono solo rinviati?
«Questo non si sa con esattezza. Un po' per scelta mia e un po' delle due squadre, abbiamo ritenuto che per il momento non fosse il caso di provare il salto nel World Tour, visto e considerato il mio rendimento dopo il lockdown. Non saprei dire se ho patito il passaggio da Continental a Professional, di sicuro mi aspettavo di più da me stesso.»
In effetti la tua ultima vittoria risale al 2019, nell'annata da Under 23, alla Vuelta a León, seguita dal podio al Tour of Antalya 2020 nei primi mesi Continental: dopo il tosto impatto con le Pro Series nel 2021, il 2022 può essere l'anno buono per le prime braccia al cielo da professionista?
«Lo spero, certo, nessuno corre per arrivar secondo, ma prima di pensare a vincere ora la cosa essenziale è tornare ad andar forte. Che può voler dire tutto e niente, ma una volta che vai forte puoi porti ulteriori obiettivi, a partire dall'essere in grado di aiutare i compagni nei momenti critici.»
Sai già il tuo calendario per questa stagione?
«Probabilmente inizierò in Turchia, all'Antalya. Poi per ora ho dentro il Laigueglia e da lì avrà inizio la stagione del calendario italiano.»
Ecco, le corse italiane... Sappiamo che sei particolarmente affezionato all'Aprica. Quest'anno la tappa numero 16 del Giro d'Italia arriva lì: ce lo fai un pensierino?
«Vedere l'arrivo lì mi fa sognare a occhi aperti: pensare di andar lì ed essere protagonista, magari aiutare Lorenzo Fortunato... Ma si vedrà, intanto bisogna dimostrare di andar forte per meritarsi la chiamata al Giro!»
A proposito di arrivi in salita al Giro e di Fortunato, cos'hai provato quando lui, scalatore della Eolo Kometa come te, ha compiuto quell'impresa sullo Zoncolan?
«Bellissimo! Con lui avevo legato subito nel ritiro in Sierra Nevada, inoltre la sua ragazza abita nelle mie zone quindi capita che lui passi di qua e ci alleniamo insieme. Quando ha vinto quel tappone non ci credevo neanch'io: fu un'iniezione di fiducia per tutta la squadra, corridori e staff, vedere uno dei nostri raggiungere quel livello al Giro e vederlo piazzarsi 15esimo al Lombardia. Ci fa capire che siamo sulla strada giusta. E quando ci alleniamo insieme capita che improvvisiamo delle garette: confrontarmi con uno che ha fatto quello che ha fatto è decisamente un'ottima pietra di paragone.»
In passato ci hai detto di avere come idolo Vincenzo Nibali (e per un motivo ben preciso, che potete ritrovare nella nostra intervista QUI): hai avuto modo di conoscere personalmente il campione siciliano?
«Conoscerlo bene no, ma avendo lo stesso procuratore (Alex Carera, ndr) Nibali mi è stato presentato e ci ho scambiato giusto un paio di parole.»