Angelo il nome, Damiano il cognome, è un napoletano verace, nato il 30 settembre 1938 nel popoloso quartiere di Barra, allora caratterizzato da varie e differenti connotazioni industriali, che ha regalato all’Italia, e alla città del Vesuvio in particolare, una medaglia d’oro nel ciclismo conquistata nel 1964 alle Olimpiadi di Tokyo vincendo, in coppia con l’amico, il veneto Sergio Bianchetto, nella difficile ma sempre e comunque spettacolare specialità del tandem.
Dopo la prima prova della finalissima vinta dall’equipaggio sovietico, gli azzurri rimontano la situazione conquistando la seconda prova e la “bella”. Il padovano Bianchetto firmò una straordinaria doppietta a cinque cerchi poiché, nell’edizione precedente, a Roma, anno 1960, aveva già conquistato l’oro della specialità, sempre alla guida del tandem e, alle spalle, come “motore” - così si definiva l’atleta sul secondo sellino dietro la “guida” - l’amico, pure lui padovano di Tombolo, Giuseppe “Bepo” Beghetto.
Era uno dei periodi più fulgidi della pista tricolore, soprattutto nelle specialità riferibili alla velocità, con abbondanza di talenti di primo rango e di “scuole” della pista come quella della gloriosa Società Ciclisti Padovani, straordinario vivaio di campioni che fruivano, nell’organizzata e appassionata struttura societaria, della guida tecnica, ma non solo, del grande Severino Rigoni. E, sotto la maglia azzurra, gli ori del tandem di Roma e Tokyo vestivano tutti la maglia bianco-verde della S.C. Padovani.
E anche il partenopeo Angelo Damiano, lo scugnizzo napoletano, ha affinato il mestiere, così come Bianchetto e Beghetto, al velodromo Monti nel centro della città del Santo, diventata per diversi anni la sua città d’adozione.
Incentriamo però l’attenzione su Angelo Damiano che, partendo da un contesto territoriale e ambientale non particolarmente vocato per lo sport delle due ruote, riesce con caparbietà e costanza, a costruirsi una carriera ciclistica di tutto rispetto impreziosita dall’oro conquistato nella Terra del Sol Levante.
L’inizio dell’attività pedalata avviene per il giovane Angelo sulle orme di papà Vincenzo, buon corridore, soprannominato “coscia di ferro” perché, a seguito di una caduta, aveva inciso su una coscia, il disegno dei denti segmentati del profilo di un pedale dell’epoca.
L’agonismo lo attira tanto che Angelo, “aggiustando un poco" (testuale) la data di nascita – la medesima operazione l’aveva messa in atto ai suoi esordi un certo Antonio Maspes… -, ottiene un tesserino un anno prima di compiere i canonici sedici anni, indossando la maglia del G.S. Augusta vincendo, ovviamente in volata, una decina di gare. Inizia anche a frequentare la pista dell’Arenaccia, lunga ben 606 metri, nella struttura dello stadio militare Albricci dove aveva giocato il Calcio Napoli e poi la formazione partenopea del rugby, pista con curve piatte, abituale sede d’arrivo di una classica (allora) come il Giro di Campania, di tappe del Giro d’Italia e di altre manifestazioni.
In un’alternanza continua fra strada e pista contrappuntata da un buon numero di vittorie ottenute con il suo spunto veloce, Angelo Damiano si fa un nome con specifica notorietà che circola positivamente nell’ambito del ciclismo campano guidato da Vincenzo Milano e delle regioni limitrofe. Un periodo, un ambiente, gare e personaggi di un ciclismo vitale e piacevole che il velocista partenopeo ricorda sempre con affetto e con qualche rimpianto – giustificato – per il tempo che fu delle due ruote nel sud della Penisola. Ricorda d’avere gareggiato, nelle differenti categorie, indossando pure le maglie della società Achille Lauro di San Giorgio a Cremano, dell’Eldorado Gelati di Casavatore, dell’Internapoli, il nome della seconda calcistica della città che lanciò noti calciatori come Giorgio Chinaglia, Giuseppe Wilson, Peppino Massa, Franco “Ciccio” Cordova oltre a vari altri e che fu allenata anche da un amatissimo personaggio quale il brasiliano Luis Vinicio e, tornando al nostro protagonista di questa storia, la Baratta di Battipaglia (Salerno), nota industria conserviera.
La sua notorietà cresce anche a livello nazionale tanto che la Federazione Ciclistica lo convoca alla sede di Ferrara della Scuola Fausto Coppi dove erano ospitati i più promettenti pistard delle differenti regioni. La supervisione era affidata alle capacità intuitive e all’occhio lungo di Guido Costa, storico commissario tecnico, “guru” della pista azzurra, che porta il giovane Damiano a fare esperienze nell’intenso programma d’attività dei velodromi internazionali.
Fra i molteplici ricordi che Damiano snocciola con freschezza, rammenta con sempre partecipata emozione quelli legati all’importante “Medaglia”di Parigi dell’edizione 1959, nel mitico e storico velodromo coperto, il Vel. D’Hiv. e l’atmosfera piacevole, intrigante, sia all’interno, sia all’esterno. Le prove di velocità sempre “a tre” con le terne di corridori contemporaneamente in pista e che prevedevano le finali nel mese di marzo e dove gareggiò con gli amici, i milanesi Carlo Rancati, detto “l’Aquila” poi buon pistard professionista e Carlo Cressari, esponente di una famiglia dedita al ciclismo, sia al maschile, sia al femminile. Un quotidiano sportivo intitolò, a piena pagina, “uno scugnizzo a Parigi” per rappresentare i suoi “exploit” parigini.
Altro indelebile ricordo è legato alla pista, quella magica del Vigorelli di Milano, ora Velodromo "Maspes Vigorelli”. Fu la sua prima presa di contatto con il parquet dell’impianto di Via Arona nell’ambito di una prova del Trofeo Gardiol, “challenge” patrocinato dalla nota produttrice di pneumatici, con il segno distintivo dell’affermazione rappresentata dall’omonimo “bracciale” indossato dai vincitori. Più che un ricordo è un incubo dapprima per Angelo Damiano è la sensazione provata di vera e propria “fifa” con vertigine quando si è arrampicato alla balaustra al centro delle ripide e inclinate curve della “pista magica”. Una sensazione che permane anche se poi, in seguito, seppure gradualmente, sia stata metabolizzata e vinta con l’esperienza. Quanta differenza con le curve “piatte” dell’Arenaccia dove, nel 1963, profeta in patria, conquistò l’oro della velocità ai Giochi del Mediterraneo, superando Giordano Turrini e dopo avere eliminato in semifinale il fuoriclasse francese Daniel Morelon. Una prima sensazione, poi ampiamente superata, tanto che al Vigorelli conquista il tricolore della velocità nel 1964.
Per gli ultimi tre anni da dilettante Angelo Damiano ha vestito la maglia della S.C. Padovani. Un ambiente e una società che sentiva anche propri svolgendo un’intensa attività in pista, e pure su strada, fino al momento magico di Tokyo in coppia con l’amico Sergio Bianchetto.
Dopo le Olimpiadi passa professionista vestendo dapprima, per due anni, la maglia della Termozeta FBE dell’appassionato presidente Piero Belloni, poi quella gialla dell’Ignis di patron Giovanni Borghi, quella bianconera della Scic nel 1969 e, nei due anni successivi, la maglia della toscana Ferretti guidata dal d.s. Alfredo Martini, poi straordinario commissario tecnico e riferimento di primo valore del ciclismo italiano.
Chiude la carriera professionistica nella Conterosso Padova, nel 1972. Nei difficili mondiali di velocità di quegli anni, ricchi pure di scelte e situazioni contingenti, terreno di scontro fra grandi nomi, ottiene vari ottimi piazzamenti e riesce a salire sul terzo gradino del podio ad Amsterdam, nel 1967, con iridato il grande belga Patrick Sercu e la medaglia d’argento per Giuseppe Beghetto.
Sposa, a Portici, Annita e poi nascono le figlie, Maria e Giustina seguite dal figlio Vincenzo che ha pure provato a percorrere le orme paterne in bici, ma ha desistito abbastanza presto, con piena comprensione paterna. E, in tema famigliare, Angelo Damiano desidera ricordare quale nonno, anche le nipoti Martina ed Enrica, figlie di Maria.
Tornato a Napoli dopo la lunga e felice parentesi patavina, Angelo Damiano, nominato responsabile della pista per il Sud e poi tecnico regionale, ha sempre operato professionalmente – il pane della pista ha sette croste …- nel settore ciclo, rappresentando diversi marchi di rilievo, nella sua zona di competenza e, in primo piano, il marchio Castelli fondato da Maurizio Castelli, il figlio di Armando Castelli, già “anima” e riferimento dello storico marchio d’abbigliamento milanese Vittore Gianni.
Damiano era legato d’amicizia con Maurizio, l’effervescente inventore del marchio dello scorpione che, in gioventù, ha gareggiato in bici, sia su strada, sia in pista, poi fermato da un incidente quando era un buon “juniores”, in seguito dinamico e inventivo imprenditore in proprio dopo l’esperienza maturata nell’azienda di famiglia, prematuramente scomparso nel 1995 stroncato da un attacco cardiaco durante un’uscita in bici sulle strade della Milano-Sanremo a soli 47 anni.
L’ex “scugnizzo” ha nel tempo cambiato il colore dei capelli, passati gradualmente dal nero intenso a un candido bianco, e vive in serenità la sua età matura nella sua terra, fra famiglia e amici molti dei quali sono continui e assidui testimoni di una passione per le due ruote. Passione che si declina – purtroppo – più che al presente a un emblematico ma lontano passato, in vari settori, sovente ricordati dall’appassionata penna di Gian Paolo Porreca e dalla presenza valoriale, emblematica, di Carmine “Elo” Castellano, e qui basta la parola, dove brilla la medaglia d’oro olimpica di Angelo Damiano, dal 2015 Collare d’Oro al merito sportivo del CONI, Campione Olimpico Tokyo 1964 ciclismo - velocità tandem -.