Il Giro Rosa è una di quelle corse magiche, una specie di scrigno che rinchiude mille emozioni ma soprattutto tanti sogni che tessono storie senza fine. Abbiamo ancora negli occhi il ritiro di Annemiek Van Vleuten, siamo in trepidante attesa di scoprire chi verrà incoronata regina della corsa a tappe, ma certi racconti, anche se lontani, non possono aspettare.
Questa storia, purtroppo brutta e non a lieto fine, inizia qualche giorno fa sotto il sole caldo di Terracina; la corsa ha lasciato la località laziale per percorrere 110 km ed io, un po’ per sfizio o un po’ per perdere tempo, sto facendo sui e già sulla spiaggia per godermi un attimo di pace. Tutto d’un tratto la radio gracchia con l’ennesima notizia buttata lì velocemente: “atleta numero 41 ritirata dalla corsa”. Alzo le spalle e riporto la notizia, che sarà mai l’ennesimo ritiro? Poi però poco dopo ricevo una telefonata e capisco subito quanto di tremendo sia appena successo. La regola professionale impone di non rivelare mai le proprie fonti, ma in questo caso direi che uno sgarro sia più che lecito.
La voce che mi urla al telefono è quella di Flaviano Ossola, il fotografo ufficiale del Giro Rosa che in sella alla sua moto mi aggiorna sull’andamento della gara in tempo reale. Dopo tanti giorni di corsa mi sono... rassegnata alla sue battute e alle sue note di colore, ma stavolta per la prima volta la sua voce è strana. È calma, flebile, emozionata, perché in fondo al gruppo ha dovuto suo malgrado assistere ad una scena tremenda.
Il plotone procede a forte velocità tra le curve fuori Terracina, davanti la CCC di Marianne Vos sta facendo un ritmo incredibile, ma dietro tutte c’è chi sta lottando con qualcosa di più grande.
Vania Canvelli arranca da diversi chilometri, il gruppo lontano, sparito chissà dove, procede a zig zag, a velocità ridotta, a fatica resta sulla bici. Dietro di lei due moto dei giudici incombono come due tremendi avvoltoi, sono lì soltanto per ufficializzare il suo ritiro, attendono la fine.
Poco più di un’ora prima, alla presentazione delle squadre Vania non c’era e mentre tutti la cercavano con sguardo indagatoria lei stava già lottando con la realtà. Non stava bene, lo sapeva, troppo dura la tappa da Assisi a Tivoli, 170 km che le sono costati una terribile insolazione e una notte insonne. “Non partire, ritirati” le dicono, ma lei contro tutti e tutto sale in sella alla sua bici e inizia la sua avventura.
La testa le dice che è meglio fermarsi, ma il cuore le dà la forza di andare avanti. In gioco non c’è solo il dato di un’ennesima tappa, ma un sogno che l’aveva condotta fino in quel punto.
Si era presentata al Giro Rosa con la voglia di dare tutta se stessa e, visto il grande avvio di stagione, pensava di potercela fare, ma il destino ha deciso diversamente.
Non c’è nessuno in fondo al gruppo a proteggerla dai giudici avvoltoi, c’è solo il suo diesse Walter Zini che tenta di farla ragionare. Vania si arrende solo al chilometro 16, scende della bici, è in lacrime.
È questo uno dei momenti che mi fanno capire quanto siano labili i sogni, così leggeri da poterli cullare, così bastardi da sbatterti in faccia la realtà. Si pensa che sia finita, ma il mondo torna presto a colpire.
Già il giorno dopo, infatti, un altro sogno viene infranto: è quello di Giorgia Catarzi, anche lei della Bepink come Vania.
Come la sua compagna, Giorgia sta male, e questo lo vedo immediatamente appena scende dal camper della sua squadra a Torre del Greco, si aggrappa all’assistenza della croce rossa mentre ascolta in silenzio il verdetto: «così non puoi continuare» le dicono mentre lei ritorna dalle compagne. Il suo volto è stracolmo di lacrime, chiede conforto a Zini e poi abbraccia ad una ad una tutte quante, è pallida in volto, reduce anche lei da una nottata tremenda, ma questa volta il sogno è più grande.
Parte alla volta di Nola sotto un sole tremendo, si stacca presto dal gruppo, sale la consapevolezza che ormai la sua avventura è finita.
Mi squilla ancora una volta il telefono, questa volta sono in macchina imbottigliata nel traffico fuori Napoli, è Flaviano con l’ennesima storia strappalacrime.
Certo che è crudele il destino, in due giorni ha colpito tremendamente, lo ha fatto con due compagne di squadra, sempre dopo 16 km di gara, ha sbriciolato i loro sogni. «A cosa serve sognare se tanto andrà a finire così?» mi chiedo. In qualche modo mi sento coinvolta in questa storia, posta nella tremenda posizione di comprendere più di molti altri Vania e Giorgia. E non è questione di protagonismo, semplicemente, la prima è mia coetanea, la seconda ha quattro anni in meno di me.
Viviamo di e per i sogni, siamo disposti a tutti per realizzarli, non ci interessa quando ci dicono che non si può perché è quella la parte bella del gioco. Il ciclismo per molti è solo una competizione, ma cosa sarebbe senza sogni? Sarebbe l’ennesimo guazzabuglio di soli dati, forse è proprio per questo che nonostante la consapevolezza di quanto tremendo sia sognare decidiamo di farlo ugualmente, perché in fondo sappiamo anche che è una cosa bellissima.
Foto Flaviano Ossola