«Atleti non si nasce per caso e le doti del campione si vedono, basta saperle capire e tirare fuori». Queste sono le parole di Bogdan Fink, il direttore del più grande club di ciclismo della Slovenia, l'Adria Mobil di Novo Mesto, che per primo ha creduto nelle capacità di Primož Roglič, facendogli firmare il suo primo contratto da professionista.
Primož è l’atleta rinato dalle sue stesse ceneri: nel 2007 a Planica, il terribile incidente che pose fine alla sua carriera con gli sci e poi la scoperta della bici come terapia riabilitativa. La sua rinascita comincia nel 2012 quando Bogdan Fink accetta di far firmare un contratto da ciclista professionista a quel ragazzo sconosciuto, che veniva dal mondo della neve ma che aveva una gran voglia di correre in bici.
Nell’autunno del 2012 Primož, che correva come amatore, si presentò a Bogdan Fink, chiedendogli di ingaggiarlo. Il dirigente era titubante, ma la squadra doveva crescere e la storia di Primož, che dalla neve passava al ciclismo strada, sarebbe stata perfetta.
I primi test vennero fatti a Lubiana dal dottor Radoje Milić al Centro di Medicina dello Sport dell’Università cittadina. I risultati lasciavano intravedere le doti del giovane e Fink decise di accettare la sfida. «Oggi tutto può sembrare semplice, ma in quel 2012 diventato per noi storico, non era così. Andai per due volte dallo sponsor, Adria Mobil, mostrandogli i risultati dei test e solo dopo la seconda volta accettarono di ingaggiare Roglič».
Questa è la storia di Primož Roglič che si era innamorato del ciclismo e voleva vincere e che trovò in Bogdan Fink il suo mecenate.
«Ovviamente nessuno di noi in quegli anni stava pensando a qualcosa di grande, ma volevamo provare, soprattutto perché il ragazzo aveva una tanta voglia di allenarsi con noi e arrivare a vincere una corsa. Dopo i test, si era subito visto che Roglič sarebbe stato in grado di resistere ad allenamenti ancora più faticosi e che aveva delle doti speciali. Il dottor Milić ci ripeteva sempre che quel ragazzo era stato un atleta di alto livello con gli sci e che lo sarebbe stato anche in altri sport, perché la sua indole era quella».
Bogdan Fink sorride e nelle sue parole c’è anche commozione, perché quando correva lui il solo pensiero del Tour de France era fantascienza.
«Quando solo io andavo in bici, i professionisti li potevo vedere solo nelle riviste. Per chiunque di noi competere al Tour de France era fantascienza. Ora abbiamo due sloveni al comando della corsa più importante al mondo. Si è aperta una nuova era del ciclismo moderno. Nessuno avrebbe mai immaginato che quel saltatore con gli sci si sarebbe trasformato così rapidamente in un ciclista che ora è sul punto di vincere il Tour de France. È davvero incredibile tutto questo».
Il tecnico sloveno con affetto ricorda il giovane Roglič e i suoi primi allenamenti.
«Era un tipo molto gentile e divertente che sapeva tenere alto il morale della squadra. Faceva sempre qualcosa per far ridere i ragazzi, si prendeva cura dell’umore di tutti. Con il suo lavoro e il suo comportamento si guadagnò la fiducia del team, venne subito accettato e così è stato anche quando è andato nella Jumbo-Visma».
La certezza che il saltatore con gli sci sarebbe diventato un campione delle due ruote, arrivò nel 2014 a Zagabria.
«Eravamo in una gara di seconda categoria a Zagabria dove, tra l'altro, qualche anno dopo gareggiò anche Tadej Pogačar. Era il 2014, c'erano 200 ciclisti al via. Il traguardo era a Novo Mesto, la nostra città, tutti si aspettavano che l’Adria Mobil guidasse la gara. Al 50° chilometro otto ciclisti andarono in fuga, noi li lasciammo andare e tra loro c’era il nostro Primož. Boštjan Mervar era il direttore sportivo dell'epoca e credeva in lui, ci disse che non avrebbe dato la caccia ai fuggitivi, era certo che Primož avrebbe vinto. E il nostro ragazzo vinse superando tutto il gruppetto dei fuggitivi. Aveva già vinto una tappa in Azerbaigian prima, ma quella a Novo Mesto fu un successo davvero grande. Distrusse tutti con la forza, senza nessuna tattica. Da allora, la sua carriera è salita alle stelle».
Roglič è diventato un eroe in patria e ha fatto appassionare tutta la Slovenia al ciclismo. Bogdan dice che il suo Primož è un campione a 360° e che questo è il segreto del suo successo.
«Quando andò alla Jumbo-Visma erano tutti un po’ preoccupati, perché era la prima volta che uno sloveno andava in un team olandese, ma lui con il suo carattere riuscì subito a farsi ben volere. Anche con la gente normale è fantastico. Quando si è svolta una cerimonia a Zagorje per la sua vittoria alla Vuelta lo scorso anno, è rimasto fino alla fine, scattando foto con tutti i tifosi, non ha detto no a nessuno. Ecco perché la gente lo adora. Lui è un campione nel cuore e nella testa e lo sta dimostrando al mondo intero».