Nonostante questa settimana non sia riuscito ad alzare le braccia al cielo, oggi Mark Cavendish concluderà la Vuelta a San Juan con il sorriso. In Argentina è rientrato in gruppo dopo due stagioni rese difficili da problemi fisici, cadute e intoppi vari che lo hanno messo davvero alla prova. Non correva da fine luglio, dalla RideLondon-Surrey Classic, quando è stato costretto a un secondo stop a causa della mononucleosi, che lo ha tenuto per 6 mesi lontano dalle corse. Il Missile di Man è tornano in sella, dimostrando la solita “cattiveria” agonistica, anche a parole.
«Sono felice di aver riattaccato il numero alla schiena, al via della prima tappa ero anche un po’ nervoso ma sono contento delle sensazioni che ho avuto. Per quest’anno non mi sono prefissato obiettivi specifici, prima devo capire se sono guarito davvero. Chiunque venga colpito dal virus di Epstein-Barr (EBV) non si riprende mai completamente, gli stessi medici non sanno quanto può danneggiare il corpo di un atleta professionista» racconta il 33enne della Dimension Data, che ha preparato l’esordio stagionale allenandosi in California, affrontando tra l’altro alcuni allenamenti in compagnia di Geraint Thomas (Team Sky), Pete Kennaugh (Bora Hansgrohe) e l’amico pilota di Moto GP Cal Crutchlow, come ha testimoniato con video e foto postate su Instagram.
Quest’anno le sfide iridate andranno in scena nello Yorkshire, la terra di sua madre, ma il percorso pare troppo duro per un velocista puro come lui. «Il percorso è stato indurito da qualche strappo e la lunghezza renderà la corsa impegnativa per tutti. Nel finale non conterà quanto sei veloce, ma come ti sei alimentato e quante forze ti sono rimaste» spiega il campione del mondo di Copenaghen 2011, argento a Doha 2016.
All’avvio della sua 13esima stagione, il suo spirito competitivo è sempre intatto. In carriera ha vinto quindici tappe al Giro d'Italia, trenta al Tour de France e quattro alla Vuelta di Spagna. È uno dei pochi corridori ad avere vinto la classifica a punti di tutti e tre i grandi giri. Ha conquistato una medaglia d'argento olimpica a Rio de Janeiro 2016 nell'Omnium. Cosa lo spinge a stringere ancora i denti, invece di gettare la spugna? «Non so per quanto correrò ancora, di certo finché sarò il migliore. Finché avrò voglia di lottare per tagliare la linea del traguardo per primo. Sono dipendente dalla vittoria, per me è tutto, ne ho bisogno. Non voglio semplicemente essere la versione migliore di me, ma il migliore di tutti. Gli stimoli non mi mancano, anche se ho vinto praticamente tutte le corse che potevo vincere per le mie caratteristiche fisiche. Il record di vittorie di tappa al Tour di Merckx (34) è un obiettivo che ho in testa, è un traguardo che mi piacerebbe molto tagliare. Sembra così vicino, ma in realtà è ancora molto lontano».