Niente da fare, proprio non ce la facciamo ad evitare la farsa. Dal tappone alpino alla semitappa di metà pomeriggio, un paio d'ore e via. Non ci hanno risparmiato neppure la partenza recitata, come al teatro dell'oratorio, con il gruppo che simula la partenza e poi alla prima curva svolta verso il piazzale del ritrovo per salire in pullman. Spettacolo spassoso, se non fosse pazzesco. Il tutto alla fine di un'estenuante – e ancor di più umiliante – trattativa, cominciata la sera prima. Facciamola normalmente, no non se ne parla neanche, facciamo metà ciascuno e non se ne parli più: tagliamo il San Bernardo e andiamo tutti sulla Croce del Cuore, saltando la discesa meno pericolosa e percorrendo invece la più sinistra (tu pensa la logica). Questo il risultato geniale, magari con uno sputo sulle mani come usava tra sensali al mercato dei bovini.
Capolavoro memorabile. L'ennesimo, come se ne avessimo bisogno. Un Giro già maciullato di suo, per motivi molto seri, si castra ulteriormente (definitivamente?) per precisa volontà dei suoi divi. Il colossale pastrocchio ha un suo grottesco limite di fondo: si è deciso come se in Svizzera dovesse aspettarci l'apocalisse di un'era glaciale, salvo scoprire che era una normalissima giornata di brutto tempo, neanche poi tanto brutto. Questo l'unico dato di fatto, da lì discende tutto il resto.
Volendola riassumere in rapidi voti d'emergenza, io la vedrei così.
Mauro Vegni, patron del Giro: dimenticando rapidamente com'era finita pochi anni fa a Morbegno, ricade nello stesso errore, calarsi le braghe e buttare in vacca il Giro, assecondando troppo docilmente i cappriccetti e le lune storte del gruppo. Recidivo, dunque doppiamente imperdonabile. VOTO 3.
Cristian Salvato, presidente corridori italiani: Difende gli indifendibili guidando la rivolta autolesionista. Sostiene che l'80 per cento dei corridori si è espresso contro la tappa, peccato che all'indomani si fatichi a trovarne uno che confermi. Delle due l'una: o lui mente (non credo), oppure presiede un'associazione di scombiccherati. In ogni caso, il presidente ne risponde. VOTO 3.
Gianni Moscon: Scelgo lui soprattutto per il coraggio – che va sempre ammirato in ogni caso – con cui esprime libere opinioni là in mezzo al gruppo, dove non è mai facile mettersi contro il branco. Eppure il trentino dice apertamente due cose fondamentali: “Io avrei corso la tappa intera. Lungo la strada, se uno non ce la fa, se uno ha troppo freddo, se uno ha paura, si ferma e torna a casa. Nessuno ci ha ordinato di fare i ciclisti, non siamo obbligati. L'abbiamo scelto noi”. Niente da aggiungere. Mi associo al 110 per cento. VOTO 10.
Alessandro Fabretti, caposquadra Rai: Nella tappa dell'avvilente caos, guida la sua migliore giornata di servizio pubblico. Prima si rifiuta categoricamente di mandare in onda le penose ore di diretta per raccontare la fuffa del trasferimento in pullman. Nel pomeriggio apre le trasmissioni senza concedere nulla alle ruffianerie democristiane e al cerchiobottismo che ben conosciamo, dicendo invece a chiare lettere le cose come stanno, con tanto di immagini e collegamenti per documentare le condizioni assolutamente normali di una giornata infernale solo nell'immaginazione fifona di certi corridori. Da anni la Rai non faceva così bene al Giro. Canone ben speso, almeno per un giorno. VOTO 10.