Ci sono momenti che cambiano una vita. Istanti che fanno da spartiacque nell’evoluzione sportiva di un atleta. Per Marta Cavalli, cremonese di Formigara, questa istantanea corrisponde alle ore 13:56 di domenica 10 aprile 2022. Olanda, anzi Limburgo, 1700 metri al traguardo di Valkenburg. La 24enne Marta ha appena scollinato l’ultimo Cauberg insieme a sei avversarie. Sono tutti nomi di peso: Van Vleuten, Lippert, Moolman, Garcia, Vollering, Niewiadoma. Ma quello è il suo giorno, il suo momento spartiacque. E sull’abbrivio scatta a testa bassa lasciandosi il vuoto alle spalle.
Uno sguardo avanti, uno dietro, una smorfia di fatica sempre più gioiosa, un’incredula mano sul casco al passar della linea. E un sorso simbolico a una birra sempre troppo amara per i suoi gusti, ma quanto mai dolce nel suo cuore, in cima al podio...
La Cavalli arrivata al successo nella Amstel Gold Race è una ciclista consapevole. Del proprio livello, delle proprie potenzialità, delle proprie ambizioni. Difficilmente si può ottenere ciò che si può e si vuole... se prima non si sa cosa si può e si vuole. E lei, al secondo anno abbondante di professionismo tra tesseramento “poliziesco” per le Fiamme Oro e ingaggio di club per la FDJ Nouvelle-Aquitaine Futuroscope (un profilo lavorativo presto imitato dalla 21enne toscana Vittoria Guazzini) lo sa.
Non è difficile immaginarlo, se pensi che appena maggiorenne rischiò di rimetterci letteralmente un rene in allenamento, ed è stata in grado di risalire in sella e costruirsi una carriera. Lo capisci incontrovertibilmente, se te la trovi di fronte: la misura delle parole, delicata ma ferma, lo sguardo sorridente e rispettoso. Un atteggiamento d’altri tempi, un atteggiamento da Principessa, come l’ha ribattezzata il nostro direttore Pier Augusto Stagi. Per trainare insieme alle due Elise e alle altre ragazze la nouvelle vague del movimento femminile azzurro.
E quella dichiarazione che ci rilasciò il 24 febbraio, recente ma già appartenente alla “era pre-Amstel”: «Sto lavorando minuziosamente col mio team per portare a casa bei risultati: spesso finora sono arrivata vicina a diversi successi, ma magari per un’avversaria più brava o altre ragioni il bersaglio grosso mi è sfuggito. Ora non può più tardare».
Terza di tappa alla Valenciana pochi giorni prima col lato sinistro del corpo abraso da una caduta, Marta aveva deciso di rinunciare ad alcune corse pur di rilievo per riprendersi e arrivare al meglio alle più importanti classiche primaverili.
Affermazioni che potevano pure essere lette come un azzardo. Provenendo però da una ragazza col suo modo di porsi, potevano voler dire una sola cosa: sapeva quello che diceva. Eccome se lo sapeva.
Quel team di cui parla è da interpretare in senso ampio. Non solo la squadra, tra compagne e staff, ma in generale tutto il suo entourage, a cui lei dà il nome di Team Marta. E che comprende tutti coloro i quali le permettono, fisicamente e mentalmente, di proseguire nel percorso: genitori e familiari, diesse, alimentarista, agente, fino ai fans. Le vittorie non erano mancate nei floridi anni di vivaio tra Valcar e Nazionale, strada e pista: sugli asfalti tricolori, campionessa italiana in linea ed europea nella staffetta mista; nei velodromi, numerosi titoli continentali Under 23 nell’inseguimento, sia individuale che in quartetto con le varie Balsamo, Paternoster, Alzini e Guazzini.
All’ingresso definitivo nel mondo Elite, tuttavia, ci sono da prendere decisioni topiche per il proprio futuro. Soprattutto se conosci il tuo valore.
Torniamo così alle consapevolezze e al “team Marta”. Il passaggio dal nido accogliente della Valcar a una struttura World Tour come la FDJ Aquitaine, la scelta di concentrarsi sulla strada almeno fino a Parigi 2024 e usare la pista per la preparazione. Imparare ad assaporare fino in fondo, come giusto e doveroso, i successi conquistati, ma saper pensare senza soluzione di continuità al prossimo obiettivo in calendario. E torniamo così a quello “scatto spartiacque” della domenica delle Palme in fondo ai muri dell’Amstel Gold Race. La raggiungiamo telefonicamente mentre sta per prendere l’aereo e deve ancora realizzare totalmente l’impresa appena compiuta poche ore prima. Ha la lucidità di dirci: «Fa piacere vedere che questa vittoria conferma la bontà del lavoro svolto da me, dalla squadra e dal team Marta, ma non è l’apice. Il cammino continua come da programma ed è sempre più stimolante, magari ora il gruppo mi sorveglierà in modo particolare...».
Detto, fatto. Il tempo di piazzarsi quinta in una Parigi-Roubaix “regale”, dato il trionfo di Elisa Longo Borghini. Ed ecco, dieci giorni dopo l’Amstel, la Freccia Vallone. L’andamento della gara è differente, la FDJ adesso corre per lei, il linguaggio del corpo è in gran parte lo stesso ma scevro di ogni incredulità nel trovarsi davanti. Attacca il muro finale di Huy in quarta posizione, a 250 metri dall’arrivo sono solo lei e Annemiek Van Vleuten, ai cento Marta scatta e lascia sul posto il mostro sacro olandese. Le braccia e le mani non vanno più sul capo, ma solamente al cielo belga, a sottolineare la propria forza di gambe e testa. Il sorriso del post gara è più disteso e accoglie l’abbraccione di Brodie Chapman nel bel mezzo dell’intervista con un’eleganza stellare. Pardon, principesca. La stessa eleganza con cui, sul rettilineo conclusivo di una Liegi-Bastogne-Liegi nella quale Van Vleuten va a prendersi la sua rivincita per distacco, Marta ringrazia la compagna Grace Brown con un gesto concreto: lasciare a Grace la volata per il secondo posto e accontentarsi del sesto. La soddisfazione personale rimane intatta, anzi è arricchita dal clima di rinascita e dall’iniezione di fiducia collettiva che si respira in squadra.
Soddisfazione per questa campagna del nord e per i riflettori improvvisamente puntati addosso. Che però, ricorda Marta con la consueta coerenza, deve essere tenuta a bada e non deve distogliere dal piano sportivo. C’è da riposarsi e riprendere ad allenarsi per i prossimi impegni a tappe. Messe magnificamente in archivio le corse da un giorno lontane dall’Italia, tra fine giugno e inizio luglio ci sarebbe ad esempio un Giro donne.
E c’è da avere fiducia che, tanto per mettere nel calderone una competente passione di papà Alberto, filerà tutto liscio... come l’olio.