Damiano Caruso ha lasciato stamane la sua Sicilia, per raggiungere Imola dove domani sarà al via dei Campionati Italiani su strada. Il corridore della Bahrain Victorious, che ha conquistato il secondo posto al Giro d’Italia, ha raccontato a tuttobiciweb cosa si aspetta dalla sfida tricolore e cosa pensa del circuito Olimpico in Giappone.
«Sono stato fermo per 10 giorni dopo il Giro d’Italia, non sono al 100 per cento, ma non voglio chiamarmi fuori dalla partita e voglio far bene in questi Campionati. Il percorso tricolore lo conosco bene, in parte è quello che abbiamo incontrato ai Mondiali dello scorso anno. E’ un percorso selettivo che sarà reso più duro dalle alte temperature».
In gara ci saranno tutti i corridori italiani, pronti a conquistare la maglia con il tricolore e tra questi ci sarà anche Sonny Colbrelli, compagno di squadra e amico del siciliano.
«Sonny vuole far bene e desidera veramente la maglia tricolore. Abbiamo parlato e io gli ho detto che se nel finale vedrò che per me non sarà giornata, mi metterò a sua disposizione. Se ci sarà l’occasione sarò ben contento di aiutare Sonny».
Colbrelli è un grande amico di Damiano e prima della fine del Giro d’Italia lo aveva considerato uno dei corridori migliori per indossare i gradi di capitano alle Olimpiadi di Tokyo. «E’ difficile dire chi sarà il capitano. Non abbiamo un leader designato e scegliere oggi una sola punta sarebbe svantaggioso per l’intera squadra. Man mano che ci avvicineremo all’appuntamento olimpico valuteremo tante cose e poi bisognerà vedere il giorno della gara chi di noi si sentirà meglio».
Davide Cassani ancora non ha comunicato i nomi dei corridori che andranno alle Olimpiadi di Tokyo, ma Damiano è uno dei candidati più in vista. «Spero di far parte anche io della spedizione Olimpica, Cassani sicuramente cercherà di aspettare il più possibile per fare i nomi. Non sarà facile scegliere proprio perché al momento non abbiamo un vero leader. Le corse di un giorno sono sempre molto particolari e i piani e le strategie di squadra potrebbero cambiare anche il giorno della gara. Io mi immagino una nazionale con Giulio Ciccone, Alberto Bettiol e Gianni Moscon. Ma non sono io il commissario tecnico e non faccio io le scelte».
Quello di Tokyo sarà un percorso selettivo e molto duro, dove serviranno uomini d’esperienza, capaci di gestire e dirigere una corsa. «A mio avviso un corridore come Vincenzo Nibali su un percorso come quello delle Olimpiadi potrebbe dire la sua. Penso che abbia tempo e modo di dimostrare che tipo di corridore sia e sono convinto che già nella corsa di domani farà vedere chi è il vero Nibali».
Quasi tutti hanno visto solo sulla carta il percorso della prova a cinque cerchi a causa del Covid-19. «Non ho visto il percorso dal vivo, ma sulla carta posso dire che mi piace perché è una lunghezza giusta, anche se sarà duro e poi sarà quasi tutto in linea e non su circuito e io preferisco i tracciati così. Se riuscirò ad arrivare a Tokyo con la condizione che dico io, allora posso dire che sarà adatto alle mie caratteristiche. Sulla carta mi sembra un percorso adatto a me».
E ancora: «Nelle gare di un giorno rientrano tanti corridori e molti sono quelli che non immagini come vincitori. A Rio ero compagno di squadra alla BMC di Van Avermaet e proprio lui, due giorni prima della gara olimpica, mi chiese se ritenessi quel percorso adatto a lui. Io gli dissi che secondo me sarebbero stati favoriti altri corridori e invece fu lui a vincere la medaglia d’oro, anche perché il nostro Vincenzo cadde. Quindi è difficile fare pronostici, ma penso a corridori come Van Aert o Yates, oppure Almeida, ma non mi sento di escludere neanche un corridore come Valverde. In ogni caso una start list ufficiale ancora non esiste e sono molti i Paesi che devono ancora ufficializzare i convocati. Pensando alle nazioni favorite, mi vengono in mente la Gran Bretagna, la Spagna e il Belgio, senza dimenticare la Colombia».
Alle Olimpiadi Caruso potrebbe trovare alcuni compagni di squadra come Pello Bilbao. «Indubbiamente sarà strano correre contro uomini che durante l’anno ti aiutano o che aiuti in gara. Ma quando si indossa la maglia della propria nazionale è così. Penso per esempio a Bilbao che è stato sempre al mio fianco durante la corsa rosa, mi piacerebbe che fosse lui a vincere l’oro olimpico perché è un gran corridore e un bravo ragazzo, penso che il percorso olimpico si adatti alle sue caratteristiche ma a Tokyo io farò la mia corsa e lui la sua».
L’avvicinamento alle Olimpiadi è difficile e le regole cambiano di continuo e così anche i corridori non hanno ancora le idee chiare su come e quando si partirà per il Giappone. «A causa del Covid abbiamo ancora molti punti interrogativi. Io il giorno dopo la fine del Giro ho fatto la prima dose del vaccino e tra qualche giorno farò la seconda. Non so quando partiremo per Tokyo e ancora non è chiaro il percorso di avvicinamento. Correrò i Campionati Italiani e poi gareggeremo in Sardegna, ma molti punti devono essere ancora chiariti».
Per Damiano le Olimpiadi sono un evento unico, nel quale contano anche le medaglie per il secondo e terzo posto.
«Fare un terzo posto alle Olimpiadi, secondo me è più importante di un terzo o un secondo posto al Mondiale. Nessuno ricorda mai chi arriva secondo o terzo ad una gara normale, mentre tutti ricordano chi in una Olimpiade, oltre alla medaglia d’oro ha conquistato un bronzo o un argento. Ai Giochi un posto sul podio vale molto, per sé e per la propria nazione».
Con la sua vittoria di tappa e il secondo posto al Giro d’Italia, Caruso ha fatto appassionare tanta gente al ciclismo, ma allo stesso tempo non si è montato la testa, rimanendo sempre quel corridore umile che tutti abbiamo imparato a conoscere. «Il secondo posto al Giro non mi ha cambiato, sono rimasto il corridore semplice di sempre e con i miei amici non parlo di ciclismo. Sono contento di aver avuto tanti consensi e messaggi da gente che si è commossa. Ho pianto io e hanno pianto anche tante persone, ma di gioia e questa è la cosa che più conta. Tra le tante cose accadute quando sono tornato a casa, mi ha colpito un bambino al quale ho firmato una maglietta. Mi guardava e piangeva e il papà mi spiegava che mi aveva seguito in televisione per tre settimane e che ora vedermi dal vivo per lui era qualcosa di incredibile. Allora gli ho spiegato che non doveva piangere, perché i ciclisti sono persone normali come tutte le altre, ma che hanno ricevuto il dono di saper andare bene in bicicletta. Spero che quello che ho fatto possa essere di aiuto e di ispirazione per i giovani ciclisti siciliani e per le istituzioni affinchè possano aiutare a far crescere il ciclismo su quest’isola, senza la necessità di andare via per diventare un professionista».