Era più da funghi che da tartufi. Era più da formaggi italiani che da francesi. Era più da vini rossi che da bianchi. Era più da querce che da betulle, e forse ancora più da platani che da querce. Era più da mediani che da mezze punte. Era più da fughe che da volate. Era più da gregari che da capitani. Era più da Maigret che da Montalbano. Era più da Paolo Conte che da Bob Dylan, ed era più da Sergio Endrigo che da Paolo Conte. Era più da Giovanna Marini che da Aretha Franklin. Era più da Lea Massari che da Sharon Stone. Era più giornalista che scrittore, e scriveva come solo lui sapeva fare. Era refrattario a qualsiasi moda.
Era Gianni Mura. Un anno fa, a Senigalla, il cuore, e ciao. Da allora, un lungo addio che non si è ancora consumato, che non si consumerà, neppure dopo “Mura Am(o)ur”, il documentario scritto e diretto da Emanuela Audisio, stasera alle 21.15 su Sky Arte, che anzi gli restituisce anni di vita. Un viaggio fuori, dentro, intorno a un giornalista deciso a diventare – parole sue - prima l’occhio del lettore, poi anche il palato, così da lavorare per conto terzi. Settantacinque minuti e ventotto secondi, con amici e colleghi, cuochi e musicisti, fra luoghi e passioni, riti e regole.
Tanto ciclismo, nella vita di Mura e nel documentario di Audisio. L’eredità di Gianni Brera, le lezioni di Mario Fossati, la gavetta alla “Gazzetta dello Sport”, le zingarate cicloletterarie al Tour de France, 33 per la precisione, in coppia, in tandem, in macchina soprattutto con Carletto Pierelli, perché “raccontare significa andare, vedere, attraversare”, ed è quello che lui (loro) faceva (facevano), dieci-dodicimila chilometri seguendo e inseguendo la corsa, ma anche tutte le storie annesse e connesse, che cercava o riesumava, scavava e ricamava, o su cui inciampava. Quelle paginate di “Repubblica” rimarranno insostituibili.
In “Mura Am(o)ur”, ritagli: “Sottoposti a turni quasi militareschi, con incarichi precisi, i gregari vanno in libera uscita quando non servono a nessuno. Allora fanno finta di scappare dal gruppo (che rallenta) e vanno avanti a salutare i parenti e la morosa. Oppure, se compiono gli anni come ha fatto il 18 maggio Tosoni, cercano la fuga buona e il gruppo li va regolarmente a prendere. Oppure fanno volate interminabili per traguardi di serie inferiore, dove se va bene si vince un prosciutto, che è già una bella cosa. I gregari non diventano mai ricchi, spediscono tante cartoline e sognano di aprire un negozio di biciclette. Qualche volta diventano direttori sportivi e dicono che una volta, coi gregari, era un altro paio di maniche. I gregari di adesso li lasciano dire”.
Sentenze: “A cinque finali di Super Bowl preferisco un cross di Maiellaro o una fuga di Roscioli”.
Confidenze: “Tengo per i fuggitivi, per quelli che scappano”.
Scelte: “Alpi o Pirenei? Pirenei. Sui Pirenei c’è più dramma, e fa più caldo. Sulle Alpi ci sono solo bambini biondi, mucche anche loro bionde e stazioni di sci bionde”.
Storie: “Luis Ocana, un po’ torero, un po’ ballerino, di nessuno, gli spagnoli lo consideravano francese, i francesi spagnolo, si sparò un colpo di fucile, la richiesta di essere cremato e le ceneri gettate in cima a una montagna, sui Pirenei, lasciando al vento il compito di farle andare dove accidenti voleva”.
Mura, al contrario di Ocana, è di tutti. E leggendolo, e rileggendolo, e riguardandolo anche in questo documentario, è qui fra noi. Un caffè, una sigaretta, un Galibier magari fuori corsa, un pezzo memorabile battuto a macchina. Tatatac tatatac tatatac. E trasmesso al telefono. Alé.