Il covid non ha fatto sconti a nessuno, ha stravolto completamente il calendario 2020 ed ha creato non pochi problemi in tutte le squadre. Per Francesco Gavazzi non c’è stata solo la pandemia a creare dei grattacapi, ma anche la rottura definitiva con l’Androni Giocattoli Sidermec. Per l’atleta valtellinese è stata una stagione da dimenticare, meno di 15 giorni di gare nelle gambe e l’impossibilità di dimostrare il suo valore. La Eolo Kometa, la giovanissima squadra di Ivan Basso e Alberto Contador, è arrivata a bussargli alla porta per un progetto tutto nuovo e un’avventura ambiziosa. Gavazzi ha ripercorso con noi il suo 2020 con uno sguardo al futuro e raccontandoci le sue prossime sfide.
Il 2020 è stato un anno difficile per tutti, in particolar modo per te. Come lo hai vissuto?
«Professionalmente parlando penso che sia stato l’anno più brutto in assoluto perché la mia stagione non è mai decollata. Sono partito con il Trofeo Laigueglia e il Rwanda, poi è arrivato il lockdown. Con la ripresa mi sono sempre allenato, ma ho fatto pochissime gare, non so nemmeno se ho raggiunto 15 giorni di corsa. Quando ho scoperto che non avrei fatto nemmeno il Giro d’Italia, ho tirato un po’ i remi in barca, ormai i rapporti con la squadra erano rotti, la mia ultima corsa è stata il memorial Pantani».
Sei arrivato nel team Androni nel 2016 e con questa squadra ti sei tolto anche delle belle soddisfazioni, poi cos’è successo?
«I miei 4 anni in Androni sono stati veramente belli, ho conosciuto persone che per me sono diventate importantissime e ho avuto giovani compagni di squadra come Bernal che sono passati nel World Tour e stanno dimostrando grandi cose. È stato un ciclo che forse un po’ si è concluso con la stagione scorsa, poi sono iniziate le divergenze e quando hanno annunciato la formazione del Giro ho capito che per me non ci c’era più posto. È difficile dire chi abbia veramente ragione perché ognuno vuole dire la sua, ma è una pagina che ormai ho girato e non mi rimane altro che guardare avanti».
Poi però è arrivata la Eolo Kometa…
«Quando Ivan Basso mi ha contattato è cambiato un po’ tutto, avendo la certezza dell’anno prossimo ho ricominciato ad allenarmi sul serio. Avevo pensato al 2020 un come mia ultima stagione nel professionismo, ma dopo 14 anni non voglio lasciare in questo modo senza nemmeno correre».
Qual è il tuo obiettivo per il 2021?
«La cosa principale è capire se posso essere ancora competitivo, mi piacerebbe partecipare al Giro, per il momento non abbiamo notizie ma ci sono delle buone possibilità che potremo essere della partita, sarebbe una bella soddisfazione per la squadra e un premio per questo progetto. Sinceramente non so ancora se il 2021 sarà il mio ultimo anno, ma sono sicuro che una volta che smetterò mi dedicherò ad altro, non mi ci vedo come direttore sportivo, però un sogno nel cassetto ce l’ho e anche bello grande: concludere la mia carriera vincendo una tappa alla corsa rosa».
Siete uno dei pochi team ad aver fatto un ritiro. Quali sono le tue prime impressioni?
«Abbiamo fatto due settimane di ritiro in Spagna e la squadra mi ha subito colpito. È un progetto giovanissimo ma molto ambizioso, hanno tanti programmi ma sanno anche come realizzarli, ci sono tutte le carte in regola per fare una stagione veramente interessante. Molti corridori li conosco già e so come lavorano, Manuel Belletti in particolare è un amico intimo, veniamo dalla stessa vicenda ed entrambi cerchiamo il riscatto, in corsa ci intendiamo al volo e questo potrà essere un fattore a nostro vantaggio».
Quale sarà il tuo ruolo in squadra?
«La squadra ha contattato sia me che Belletti un po’ per lo stesso motivo, siamo uomini di esperienza, ma abbiamo ancora molto da dare. Il mio ruolo sarà quello di essere un po’ un punto di riferimento per i molti giovani in squadra, molti sono neoprofessionisti e penso che sarà molto importante avere una figura che possa dare anche dei consigli. Tra i ragazzi più interessanti ci sono Ropero, che ha vinto una tappa al Giro Under 23, e Fancellu che farà vedere molte cose, senza dimenticare giovani come Albanese e Ravasi che sono professionisti da alcuni anni ma hanno ancora molto da dimostrare».
Quest’anno abbiamo assistito ad un vero e proprio cambio generazionale. In Italia ci sono giovani che potranno veramente fare la differenza?
«da quando sono passato professionista il ciclismo si è evoluto. Ora in gruppo c’è più anarchia, tutti vogliono stare davanti, si guarda più ai watt che alla sensazioni. Molti giovani quando passano nella maggiore categoria sono già fortissimi, mentre a noi serviva qualche anno per carburare e certamente il covid ha rivoluzionato un po’ tutto. Al momento è difficile tenere testa a gente come Evenepoel, Van der Poel e Van Aert, ma abbiamo corridori comunque molto validi. Tra i giovani conosco molto bene Andrea Bagioli, spesso ci alleniamo insieme e a mio avviso nei prossimi anni regalerà molte soddisfazioni ai tifosi italiani. »
Che consigli ti senti di dare a tutti questi giovani?
«direi di impegnarsi al 100%, non avere paura a fare sacrifici, allenarsi e avere sempre la concentrazione perché il ciclismo è uno sport che non perdona ma dà molte soddisfazioni. Andare in bicicletta è una scuola di vita soprattutto per quando si decide di non correre più. Questo sport aiuta più di tutti a soffrire e a non arrendersi, ora che sono in questo ambiente da diversi anni mi rendo conto che tutti i sacrifici che ho fatto li ripeterei, vivere facendo quello che ci piace è un lusso e dovremmo renderci un po’ più conto di quando siamo fortunati»