Le feste di Natale Alberto Bettiol ha deciso di trascorrerle nella sua Toscana, dove la temperatura è più mite rispetto alla Svizzera dove vive abitualmente. Nel 2021 vuole andare forte Alberto, cercando la vittoria in una classica e rinnovando il contratto con la sua EF Nippo. Bettiol ha avuto la fortuna di crescere in una regione in cui il ciclismo è forte e i ragazzini vengono aiutati a praticare questo sport e per questo, quando può, aiuta i ragazzi della Mastromarco, la squadra dove è cresciuto e che ancora oggi è un punto di riferimento per il ciclismo giovanile italiano.
Siamo vicini al Natale, una festa importante e Alberto Bettiol ha voluto lanciare un augurio particolare all’amico Diego Ulissi, nella speranza di ritrovarlo presto in corsa, e ad Alex Zanardi, il campione paralimpico, rimasto vittima di un incidente lo scorso giugno.
Facendo un bilancio di questo 2020, che anno è stato per lei?
«E’ stato un anno strano, avevo vinto a inizio stagione e poi abbiamo avuto il blocco a causa del Covid-19, poi mi sono ammalto, ma comunque avevo iniziato il percorso di avvicinamento a Strade Bianche, per poi fare Sanremo e Classiche in Belgio. Avrei dovuto fare la Tirreno e il Giro d’Italia, poi la squadra ha deciso di farmi fare il Tour e quindi in un certo senso, mi sono dovuto reinventare».
Come ha vissuto il Tour de France?
«Sono stato contento di andare, perché era un periodo pieno di incertezze, e sapevamo che l’unica corsa forte, che difficilmente avrebbero cancellato, sarebbe stata il Tour. La condizione è stata buona e in quel periodo sono stato contattato da Cassani per il Mondiale».
Che Mondiale è stato per lei quello di Imola?
«Un Mondiale molto duro per me, ma Cassani mi ha voluto, credeva nelle mie capacità e io mi sentivo bene. Mi sono staccato negli ultimi 50 metri dell’ultima salita a 6 chilometri dal traguardo. Non potevamo fare di più come nazionale, in Italia purtroppo ci mancano corridori come Alaphilippe e Van Aert e abbiamo dato tutto quello che avevamo».
A suo avviso perché in Italia ci mancano corridori con le caratteristiche di Alaphilippe e Van Aert?
«Da una parte forse sono annate e cicli, ma ho anche una mia idea. Penso che molti giovani talentati li abbiamo persi lungo la loro formazione, perché sono stati spremuti troppo e si sono bruciati. Quando vado a fare i ritiri a Livigno, vedo dei giovanissimi sottoposti a carichi di lavoro incredibili, vengono fatti allenare quasi come noi professionisti e questo modo, secondo me è sbagliato ed è uno dei motivi per i quali non riusciamo a trovare dei giovani veramente forti».
Alcune scuole elementari e medie in Italia, già da qualche anno stanno creando dei piccoli bici club, facendo attività fuori scuola con assicurazioni integrative a bassissimo costo. Potrebbe essere questo un modo per trovare giovani corridori e creare un ricambio generazionale?
«Penso che questo sia un ottimo modo per fare educazione motoria ed educazione stradale e allo stesso tempo invogliare un giovane a intraprendere la strada del ciclismo. Questo deve essere un punto di partenza, poi servono delle strutture dove indirizzare questi ragazzi a fare ciclismo nel modo corretto, senza cercare subito il campione, ma portando il ragazzo o il bambino a un percorso multidisciplinare. Oggi i bambini non devono fare subito bici da strada, ma dovrebbero fare mountain bike e pista, facendo prima di tutto divertire il ragazzino».
Secondo lei le discipline del fuori strada potrebbero essere un buon supporto per iniziare a fare ciclismo?
«Il ciclismo è uno sport impegnativo e allo stesso tempo anche pericoloso e le famiglie hanno paura a mettere un bambino su una strada. Il ciclocross e la mountain bike possono aiutare, così come i circuiti chiusi, dove i bambini possono girare senza i pericoli del traffico. A Castel Fiorentino dove io abito, in un parco in disuso, il sindaco ha creato una pista di ciclocross. E’ bastata un po’ di terra e una ruspa per fare dei dossi e adesso abbiamo ragazzini che ogni giorno vengono in questo parco e si divertono a saltare e a girare. Altri bambini vengono portati allo stadio e girano con le bici dove c’è la pista d’atletica e anche questo, è un modo per iniziare a fare ciclismo in sicurezza».
Lei oltre ad andare in bici sta facendo dei corsi: di cosa si tratta?
«Sono dei corsi che ha organizzato la Federciclismo e tra questi c’è quello per diventare direttore sportivo. Ho iniziato a novembre e a febbraio avrò finito il primo livello. E’ stato un corso on-line a causa del Covid, ma l’ho trovato molto formativo. Io sono stato uno dei primi ad iscrivermi, poi quando è iniziato il lockdown, tantissimi colleghi si sono iscritti e anche loro hanno appreso molte cose e penso che continueremo a seguirli».
Qual è una delle cose che le è piaciuta di più del suo corso?
«Sicuramente la parte dedicata all’insegnamento del ciclismo ai giovani. Si basava proprio sulla multidisciplinarietà, un modo completamente nuovo di approcciarsi al ciclismo, sicuramente lontano da quello di 30-40 anni fa. Si insegna al bambino tutto il ciclismo, pista e ciclocross compreso ma anche il lavoro in palestra. In particolare poi ci è stato insegnato a non chiedere nulla al bambino, perché fino ad una certa età il risultato in gara non deve essere importante. Il ciclismo è uno sport tardivo, prima deve crescere il fisico».
Parlando di inizi, come sono stati i suoi primi anni nel ciclismo?
«Dai 6 ai 12 anni vincevo tantissimo divertendomi con la Società Ciclistica Castel Fiorentino, ero uno dei migliori, poi c’è stato un vero blocco, perché ero piccolino, fisicamente il mio corpo si è sviluppato più tardi rispetto ai miei coetanei. Quando sono passato allievo e poi juniores con lo Stabia, ricordo che correvo con ragazzi che avevano la barba e io avevo ancora le guance morbide come i bambini. Fortunatamente nessuno mi diceva che dovevo vincere e pian piano sono cresciuto e ho raggiunto gli altri».
Per lei poi c’è stato in seguito il passaggio alla Mastromarco, una squadra alla quale ancora oggi è molto legato. Che anni sono stati quelli?
«E’ stato uno dei periodi più importanti, dove sono cresciuto prima di passare al professionismo. Da un paio d’anni collaboro con loro, siamo molto legati in particolare a Gabriele e penso che sia giusto investire in queste realtà, che accolgono in famiglia quei ragazzi che sono costretti a lasciare le loro case per fare il ciclismo. Un anno feci pochissime gare, furono loro a farmi correre poco, perché era l’anno della maturità e volevano che prendessi il diploma, perché la ritenevano una cosa importante. Mastromarco ha dato l’opportunità a tanti giovani di diventare ciclisti e molti di loro poi, sono diventati dei campioni, come ad esempio Vincenzo Nibali».
Chi sono stati i suoi miti del ciclismo?
«Prima di tutto Paolo Bettini e poi Fabian Cancellara. Paolo ho avuto modo di conoscerlo e ci sentiamo spesso, mentre con Cancellara non potuto instaurare un rapporto. Però quando vinsi il Fiandre mi scrisse per complimentarsi con me. Fabian per me è stato un grande riferimento, ha vinto tutte quelle corse che io amo».
In Svizzera come ha vissuto il Lockdown?
«Fortunatamente siamo riusciti a organizzarci e con alcuni colleghi abbiamo fatto gruppi di tre corridori per allenarci. Io ad esempio mi allenavo con Vincenzo Nibali e Diego Ulissi e insieme ci rincuoravamo e siamo riusciti a superare il momento più difficile».
Avete avuto problemi con gli automobilisti, che in quel periodo non capivano che uscire in bici per voi era un lavoro e non un passatempo?
«Io personalmente no, altri sì, ma comunque abbiamo deciso di allenarci in 3, anche se il limite era di 5. Poi andavamo su strade secondarie proprio per non avere rischi. Avevamo fatto anche un gruppo Whatsapp, formato da tutti i ciclisti italiani in Svizzera, così potevamo tenerci in contatto, scambiare idee e darci consigli, è stato veramente utile».
Il suo contratto con la EF Pro Cycling è in scadenza, terminerà nel 2021. Come le piacerebbe proseguire nel 2022?
«Con la mia squadra mi trovo molto bene, veramente hanno tanta fiducia in me, mi hanno rilanciato e io voglio ricambiare questa loro fiducia e per questo vorrei rinnovare il contratto con loro e abbiamo già iniziato a lavorarci. La EF Nippo è una bella realtà, sono seri e non ci fanno mancare nulla e se possono aiutarci lo fanno volentieri. Io ogni anno faccio un periodo di allenamento in Spagna sul Teide e la squadra ha organizzato per me una piccola bolla, nella quale saremo io, un mio compagno di squadra e un massaggiatore e per due settimane saremo in Spagna».
Mentre voi iniziate la preparazione per la prossima stagione, alcuni suoi colleghi sono impegnati nelle gare di ciclocross. Ieri c’è stata la sfida a Namur tra Van Aert e Van der Poel, l’ha seguita?
«A dire il vero ho iniziato a seguirla dalla mattina. Sono uscito in allenamento con Kristian Sbaragli, compagno di squadra di Van der Poel e abbiamo parlato proprio di questo. Ho seguito la corsa in televisione e il livello è stato altissimo, penso che non ci sia molta differenza tra Van der Poel e Van Aert, sono veramente due fuoriclasse».
I giovani del ciclismo oggi sono molto forti, sembra una generazione completamente diversa dalle precedenti. Secondo lei sono cresciuti in un modo diverso?
«Sono molto sfrontati, affrontano le corse a testa alta senza paura e non temono i corridori con più esperienza. Noi abbiamo iniziato in modo diverso, ci dicevano di tenere la testa bassa e di seguire quelli più esperti. Oggi questi ragazzi, arrivano al professionismo molto preparati, sia mentalmente che fisicamente. Ad esempio Hirschi, ma anche corridori come Bernal o Pogacar, che sono già dei grandi campioni, loro corrono a testa alta con la voglia di sentire il vento in faccia»
Parlando di Covid, ci sono stati corridori come Roglic, o squadre come la UAE Emirates, che si sono già dichiarate a favore dei vaccini. Lei cosa pensa?
«Io penso che dopo aver vaccinato sanitari, persone a rischio perché con patologi e anziani, sia giusto vaccinare anche noi. Quando sarà possibile io voglio fare il vaccino. Noi pratichiamo il ciclismo, viaggiamo in tutto il mondo e per questo siamo esposti di più al contagio. Penso che debbano essere vaccinate tutte quelle categorie che per lavoro devono spostarsi in tutto il mondo e dovremmo rientrarci anche noi».
Quali saranno i suoi obiettivi per la prossima stagione?
«Voglio correre ad alti livelli concentrandomi sulle classiche. Da italiano mi piacerebbe vincere Strade Bianche e la Sanremo, ma alla fine ogni corsa è importante e può diventare un successo. Strade Bianche però, rimane un mio desiderio speciale, si corre a 20 chilometri dalla mia casa, conosco queste strade e venivo a vedere questa corsa e poi c’era Cancellara che vinceva».
Le Olimpiadi cosa rappresentano per lei?
«Andare alle Olimpiadi vuol dire indossare la maglia azzurra, quindi sono un appuntamento importante. Quasi certamente farò il Tour de France e non è facilissimo far coincidere queste due cose, perché c’è solo una settimana di tempo tra i due appuntamenti. Il percorso è molto duro e penso che comunque ci siano molti corridori più adatti di me per quel percorso. Comunque ho parlato con Cassani e vedremo come andrà la stagione, se io staro bene e mi sentirò in grado di affrontare questo impegno. Se non dovessi sentirmi all’altezza, certamente rinuncerei ad una mia convocazione».
Siamo nel periodo natalizio, a chi vorrebbe rivolgere un augurio speciale?
«Vorrei dire ai tanti appassionati di continuare a seguirci, anche se il pubblico non è in strada noi abbiamo bisogno del loro sostegno, perché il ciclismo non è morto. Poi vorrei fare un augurio speciale al mio amico Diego Ulissi, che spero di rivedere presto in gruppo, e ad Alex Zanardi, che ho conosciuto e che è stato capace di fare delle cose straordinarie. Infine un augurio anche a tutte quelle persone, professionisti e amatori, che hanno dovuto subire la prepotenza di chi non ha rispettato le norme di sicurezza e per questo sono finiti sull’asfalto».