“La paura più grande per un corridore attualmente? Forse il gruppo. Stiamo per riprendere a correre. Ci sono atleti da ogni parte del mondo, in alcune gare ci saranno pure team che non hanno seguito protocolli così rigidi come il nostro. E poi in gruppo ci sono situazioni molto fluide. L'UCI ci chiede di soffiare il naso con i fazzoleti, ok va bene, ma prendi ad esempio il corridore che va prendere la borraccia e te la porta, probabilmente non sempre si atterrà ai protocolli, oppure nei viaggi, quando l'atleta è a casa non sappiamo cosa fa. E se un compagno ci chiede un gel nel finale di corsa non glielo diamo?”.
Parlare con Davide Martinelli e Fabio Felline è come farsi guidare in un viaggio nella mente dei corridori che in questo momento sono ancora impegnati nei ritiri in altura e che si preparano al debutto di stagione (Fabio alle Strade Bianche e Davide al Trittico). Hanno lavorato tanto e non vogliono vedere le loro fatiche andare in fumo per qualcosa di imprevisto. "Il rischio zero non esiste" precisano.
La coppia è molto affiatata e qui a Livigno condivide la stanza nel bellissimo B&B che l'Astana ha preso in esclusiva al fine di evitare qualsiasi problema di contagio esterno. Hanno appena terminato una sessione di massaggi in una giornata, che per quanto leggera, ha comunque registrato qualche ora di bici. Siamo quasi alla fine del training camp in altura che li ha visti scalare molte delle montagne del comprensorio valtellinese e del vicino Engadina. Il programma è andato bene, unico neo per Martinelli che ha dovuto fermarsi per 3 giorni in via precauzionale a causa di un dolore al ginocchio, ora risolto.
Gli atleti sono divisi in gruppi, le famose bolle. Una da 5 e l'altra da 4 atleti. La vita dei gruppi viaggia su binari paralleli con staff dedicato. Anche gli allenamenti sono separati e di fatto i gruppi non si sfiorano mai.
Felline e Martinelli sono 2 corridori in grado di fornire molti spunti di riflessione e guidano con piglio il discorso. La domanda spontanea va alla situazione contingente e a come si vive in questo ritiro blindato, con i contatti esterni ridotti all'osso in modo, una vita quasi monastica scandita dai ritmi del lavoro e del riposo.
“In questo momento tutto è relativo. Si arriva da 3 mesi in cui solo il fatto di stare fuori all'aria aperta era un problema. Sono già felice di essere nella squadra. - racconta un lucido Felline in divisa da riposo blu navy - Ora hai paura del mondo extrabolla. Già entrare in un bar sembra pericoloso”.
La realtà è cambiata anche nelle piccole cose. “Se incontri 2 ciclisti che non appartengono al team ora non ci stai a ruota. Eppure sono colleghi e tra poco saremo tutti assieme in gara. Parliamo di piccole cose che ora però sono diventate normalità”.
Il piemontese aggiunge un dettaglio condiviso da molti. “A me manca non salutare con la stretta di mano. Però ora è così. Personalmente non sarei pronto ad un altro lockdown. Comunque voglio essere positivo e pensare al fatto che ora ci aspettano 3 mesi di fuoco. Se a novembre dovessero bloccare tutto sarebbe un problema. Noi corridori a novembre troviamo il tempo per fare tutto quello che le persone fanno il resto dell'anno. Questo mi crea ansia e ora non voglio rimandare niente ad un secondo momento”.
Un passo indietro e i 2 ricordano il lockdown: “Quando si è capito che le corse andavano per le lunghe - aggiunge Martinelli - abbiamo deciso di prendere le cose con calma e di non diventare matti con i programmi. Ad un certo punto non speravamo più nella ripresa”.
Felline continua: “La cosa era diventata talmente grande che non c'era una via d'uscita. Non un discorso locale ma globale. La salute pubblica e l'economia sono passate davanti a tutto e qualcuno si preoccupava ancora solo del ciclismo”.
Il fatto che durante la quarantena qualcuno abbia potuto continuare ad allenarsi non turba i 2 atleti:
“Siamo tutti sulla stessa barca e quindi partiamo alla pari. Non crediamo che svizzeri o belgi siano avvantaggiati. C'è stato il tempo per pareggiarsi. In 3 mesi il gap è stato colmato”.
Durante questa fase si sono viste anche molte imprese virtuali. “Mi sono preoccupato – afferma Martinelli - quando il ciclismo virtuale ha sostituito il ciclismo reale. Esistono le esigenze di sponsor, certo, ma si stava perdendo il senso del ciclismo. Il mio incubo (e ride) è quello di tornare nel lockdown ed essere obbligati a fare le gare sui rulli. Non amo questa sfida. I campioni nei test e nei rulli non son quelli su strada. Un giorno stavamo facendo una competizione on line ed ho ricevuto un messaggio da Philppe Gilbert che si lamentava per quando andassero forte i concorrenti. Non esiste un mondo in cui i cicloamatori levano di ruota (virtualmente i professionisti).
Andare in bici vuol dire saper guidare il mezzo, avere delle abilità nello stare in gruppo, rientrare dopo una foratura, saper stare in scia. L'essenza del ciclismo è saper frenare all'ultimo, scollinare su una salita con 10” di ritardo e fare il pezzo seguente a tutta per rientrare subito”.