Il nome di Giuseppe Beghetto si associa soprattutto alle straordinarie Olimpiadi di Roma 1960 quando il ciclismo, strada e pista, garantì ai colori azzurri una messe di medaglie, di vari metalli, che stupirono e fecero conoscere alla vasta platea degli appassionati di tutto il mondo, grazie alla prima capillare diffusione televisiva internazionale, in diretta, in mondovisione, dell’evento a cinque cerchi grandi protagonisti i cui nomi sono rimasti - quale leggenda di riferimento - nello sport, in molteplici discipline.
Giusto per ricordare riferiamo delle 13 medaglie d’oro, delle 10 d’argento e 13 di bronzo conquistate dall’Italia nel complesso. Un medagliere straordinario con 36 medaglie complessive.
Soffermiamoci nel ciclismo però dove, in pista, brillarono le stelle di Sante Gaiardoni, oro nella velocità e nel chilometro, i suoi corregionali veneti Giuseppe Beghetto e Sergio Bianchetto, sempre oro nella spettacolare specialità del tandem, Luigi Arienti, Franco Testa, Mario Vallotto e Marino Vigna con la medaglia del materiale più prezioso nel quartetto dell’inseguimento, così come l’altro quartetto azzurro della 100 km. su strada con Antonio Bailetti, Ottavio Cogliati, Giacomo Fornoni e Livio Trapè. Il laziale di Montefiascone Livio Trapè all’oro della 100 km. ha conquistato, in proprio, l’argento nella corsa in linea alle spalle del russo Viktor Kapitonov e, per completare il medagliere delle due ruote, è da ricordare il bronzo di un altro veneto, il vicentino Valentino Gasparella, nella velocità.
Bei tempi, verrebbe da dire naturalmente, senza rischi d'incorrere nella nostalgia, più o meno “canaglia”, Al Bano permettendo, ricordando pure le successive Olimpiadi 1964 a Tokyo dove il ciclismo azzurro si ricoprì ancora d’oro nel tandem, sempre con Sergio Bianchetto accoppiato al napoletano Angelo Damiano, Giovanni Pettenella, altro veneto (veronese ma poi milanese, come Gaiardoni) e anche medaglia d’argento nella velocità, così come Mario Zanin primo nella corsa in linea, pure lui veneto trevigiano, e vari altri azzurri delle due ruote medagliati con argento in profusione, a pioggia.
Dopo questa sintetica carrellata rievocativa d’introduzione per collocare nel dovuto contesto temporale d’ambientazione il protagonista di questo ricordo, ossia Giuseppe “Bepo” Beghetto, nato a Tombolo, in provincia di Padova, l’8 ottobre 1939 e dove tuttora risiede. E’ un comune a nord della provincia patavina, al confine fra quelle di Vicenza e Treviso, piena pianura con fertile agricoltura poi integrata da vari elementi produttivi. Caratteristica degli abitanti è stata quella di una lunga attività di tradizione nel tempo svolta nel settore della mediazione del bestiame che ha visto generazioni di tombolani operare attivamente e proficuamente nel settore costituendo un importante punto di snodo di tale commercio, soprattutto con i paesi dell’Est europeo, per l’approvvigionamento di carni bovine per il mercato italiano.
Il giovane Giuseppe Beghetto a scuola si è fatto raggiungere, in quinta elementare, dopo un’annata scolasticamente storta, da un compagno di banco, compaesano, di un anno più giovane di lui, Ennio Doris, già appassionato di ciclismo sulle orme del papà. E, come racconta il direttore Pier Augusto Stagi, biografo ciclistico del fondatore, presidente e “patron” di Mediolanum, il giudizio di Ennio Doris, sempre legatissimo a Tombolo, suo luogo d’origine, riguardo alla carriera ciclistica dell’ex compagno di banco così si esprime “… ha ottenuto meno di ciò che il suo talento annunciava…, gli piaceva la bella vita” è la sua icastica definizione riferita al comunque - e sempre - amico Bepo.
La carriera ciclistica di Giuseppe Beghetto inizia nella storica S.C. Padovani, grande scuola di ciclismo di Padova, società presieduta dall’industriale Giacomo Galtarossa e con l’intelligente contributo dell’esperto e capace Severino Rigoni, titolato pistard e seigiornista per quasi vent’anni. “Recitava” i suoi insegnamenti ai numerosi allievi – fra i quali anche lo straordinario campione, il pistard, specialista dell’inseguimento, iridato e olimpionico, Leandro Faggin (Padova 1933-1970), scomparso prematuramente e il polivalente pistard e stradista, poi commentatore di successo, il popolare patavino Silvio Martinello con i suoi pregevoli successi su strada e in pista con ori olimpici, maglie iridate e affermazioni nei caroselli delle Sei Giorni.
E’ sulla pista in cemento dalla particolare forma con lunghe curve raccordate da relativamente brevi rettilinei del velodromo Monti, accanto allo stadio Appiani, in zona di Prato della Valle, Beghetto, con Sergio Bianchetto, altro padovano del rione Torre e coetaneo (1939), quasi una musicale filastrocca il pronunciare i loro cognomi, affinano le lori doti naturali alla sempre formativa alta scuola della pista. E i risultati si sarebbero visti con molteplici successi nelle categorie giovanili. Il tandem aveva alla “guida” il padovano di città Sergio Bianchetto, ciarliero, estroverso mentre sul sellino posteriore il “motore” era Giuseppe Beghetto, padovano di campagna, più riservato e poco o punto ciarliero. Un’integrazione perfetta con una “chimica” ciclistica che li faceva agire all’unisono, in simultanea, fulmineamente, nella spettacolare specialità esaltando così le loro doti di sprinter di classe innata, pura.
Giuseppe Beghetto passa professionista nel 1962 correndo per la Termozeta di Parabiago (Milano) dell’appassionato Piero Belloni fino al 1966, passa poi alla Ignis di patron Giovanni Borghi nel 1967, nella veneta Vittadello nel 1968 e quindi, nel biennio 1969-1970, veste la maglia della toscana Ferretti diretta da Alfredo Martini dove corse anche su strada e conquistò due tappe, in volata ovviamente, al Giro di Sardegna. Il grande C.T. toscano soleva dire che Beghetto, con maggior impegno e “cattiveria” agonistica, avrebbe rivaleggiato con successo anche su strada con il miglior Patrick Sercu, già suo rivale nei tondini. Nel biennio 1971-1972 corre per la Zonca di Voghera diretta da Ettore Milano e conquista una tappa alla Tirreno-Adriatico del 1971. Conclude la carriera professionistica nella Supermercato Calzature da Ugo di Pordenone nel 1973. E’ stato la pista, la velocità soprattutto, il suo terreno d’elezione e dove ha conquistato tre maglie iridate nella velocità professionisti: San Sebastian nel 1965, Francoforte 1966 e Roma 1968 più l’argento di Amsterdam 1967, con Sercu che riesce a batterlo in quell’anno dopo essergli finito alle spalle prima nel 1965 e poi nel 1968.
E sempre nella velocità, fra i dilettanti, è stato due volte argento ai mondiali nel 1961 e 1962, sempre battuto da Sergio Bianchetto, amico, conterraneo, coetaneo e rivale al medesimo tempo.
E’ da ricordare anche il suo periodo, quale cicloamatore, nella primissima Zalf-Fior dei fratelli Giancarlo ed Egidio Fior della vicina Castelfranco Veneto e dei fratelli Lucchetta, titolari della Zalf-Euromobil e il legame con tale realtà del ciclismo, diventata poi storica, è sempre vivo e reciproco.
Il campione ritorna a essere semplicemente lo schivo “Bepo” nella sua Tombolo e si dedica con assiduo impegno all’agricoltura e all’allevamento seguendo il ciclismo da appassionato ma, per i margini di tempi strettissimi lasciatigli dall’attività professionale, senza frequentare più le corse. Al contrario di Sergio Bianchetto, che diventa apprezzato tecnico federale e C.T. della velocità.
Lo sport ritorna in prima piano con il figlio Massimo Beghetto, classe 1968, calciatore passato dalle giovanili del Montebelluna al Venezia, al Bologna, al Chievo e quindi, nel 1990, al Perugia diventando una bandiera dei Grifoni perugini e al Vicenza dove trova, quale allenatore, Francesco Guidolin, grande appassionato e praticante di ciclismo, conterraneo di Castelfranco Veneto. A fine carriera ha militato anche nella squadra maltese dello Sliema Wanderers e in quella scozzese del Dundee. Inizia poi la carriera d’allenatore vicino a casa, nella Virtus Bassano e la prosegue in vari club veneti per approdare poi alla Primavera del Cittadella, squadra che vede spesso allo stadio Tombolato anche suo papà con gli amici dello staff Zalf-Fior e di Pier Luigi Basso, direttore di corsa professionisti, coordinatore dei tifosi granata e anima di molte iniziative sportive di Cittadella.
Il gene calcistico dei Beghetto continua con il figlio di Massimo, Andrea, nato a Perugia nel 1994, durante il periodo perugino della famiglia di Massimo Beghetto. La sua carriera inizia, dove cominciò pure il padre, nel Montebelluna. Passa quindi nel Padova, nel Bellaria Igea Marina, nell’Este e raggiunge nel 2015 la Spal di Ferrara impegnata nella sua scalata alla serie A. Passa ai Grifoni – quelli del Genoa però - nel 2017 dove esordisce in serie A. Finito il campionato si trasferisce al Frosinone, disputando poi la serie A e mettendo in evidenza le sue doti di crossatore mancino dalla fascia unite al dribbling. A completare il quadro calcistico dei Beghetto c’è anche Luigi 1973, nipote di Giuseppe e cugino di Massimo e Andrea, poderoso attaccante, centravanti boa, in varie squadre fra A e B negli anni dal 1992 al 2009.
Da qualche anno Bepo Beghetto, andato finalmente in pensione, compie lunghe passeggiate in bici, solitarie, nelle sue zone pedalando un mezzo di sua costruzione, che unisce e fonde elementi di bici da strada, da viaggio, a quelli di una city bike con richiami pure alla mountain bike, pedalata con fisico e gambe ancora assai vigorose.
Pedala, guarda, saluta gli amici, scambia due battute e continua il suo placido e solitario girovagare, in piena distensione, senza rimpianti o reducismi vari, da non presenzialista convinto e inveterato, nonostante le medaglie e le maglie che ne hanno impreziosita la straordinaria carriera.
Frequenta sovente la manifestazione annuale di ex, a Campagnola Emilia, la nota e affollata “Bici al Chiodo”, sempre con atteggiamento riservato, quasi nascosto, in linea con la sua natura e il suo carattere parco di parole ma ricco di fatti operosi e vittoriosi in tempi di grandi, grandissimi, specialisti della pista.
E questa è la bella vita che piace sempre a Giuseppe “Bepo” Beghetto, autentico e vero “tombolan”.