E’ il più veloce del mondo, quello che corre i quattro chilometri in pista, a duello, in 4'02"647. Ha ventitrè anni, è italiano, si chiama Filippo Ganna. Ganna come il corridore che vinse il primo Giro d’Italia, nel 1909, ma non è suo parente. Ganna come il campione di canoa sprint che ha fatto le Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, che è suo padre. Lui, Filippo, ha vinto tre Mondiali negli ultimi quattro anni. A Berlino, da oggi, guida il quartetto azzurro dell’inseguimento. Poi si butterà in pista a caccia del suo quarto titolo individuale.
E’ l’uomo a cui tutti guardano: questo le pesa o la carica?
«Sono molto tranquillo, ho cominciato a gestire anche questo tipo di tensione. Tanto se ti mangi il fegato non cambia niente. So di avere fatto tutto bene, sono pronto a dare il massimo, aspetto il confronto con gli altri: se faranno meglio vorrà dire che sono cresciuti più di noi, ma non avremo rimpianti».
Il ciclismo è uno sport romantico. Anche quello su pista?
«Io di romanticismo nel ciclismo ne ho sempre visto poco, vedo tanta fatica, tanti sacrifici».
Vuole distruggere anni di letteratura?
«No, ammetto che ha un suo fascino, certo, mi capita di pensarci magari prima della partenza, quando manca un quarto d'ora, ma dopo qualche minuto penso solo a respirare bene, ad essere all’altezza dei miei compagni e di quello che si aspettano da me. Forse il romanticismo sta lì, nel concretizzare finalmente: è come quando cominci a mandarti messaggi con una ragazza, tu scrivi, lei risponde, poi arriva il momento in cui decidete di uscire. Però questa cosa del romanticismo mi piace».
In che senso?
«Se da fuori diamo questa impressione, meglio, no?».
Qual è il suo rapporto con la bici?
«Con i meccanici sono molto pignolo, se sento un rumorino anche minimo vado in tilt».
Molti suoi colleghi dicono di amare la fatica, la sofferenza. Anche lei?
«Dipende da che fatica e che sofferenza. In alcuni momenti può essere anche bello, rilascia endorfine. Ma quando vai troppo tempo fuori soglia le gambe ti fanno male, i polmoni sono pieni d’aria, quando il cuore arriva a 197 pulsazioni come mi è successo ieri non so neanche più come mi chiamo».
Conta più la testa o le gambe?
«Direi 50 e 50. Quando hai tante gambe ma poca testa come mi è successo a Hong Kong al secondo Mondiale, va male. Ma anche il contrario non funziona».
All’Olimpiade l’inseguimento individuale non c’è più. Si sente defraudato?
«Neanche tanto, vorrà dire che mi devo concentrare per bene su una sola disciplina, il quartetto: vogliamo concretizzare quello che abbiamo cominciato quattro anni fa. E magari per i Giochi di Parigi lo rimetteranno in programma».
Villa, che non è certo un tipo retorico, dice che con gli altri del quartetto siete fratelli.
«Sono quasi 5 anni che li conosco, ci vivo assieme. Sto più tempo con loro che con la mia famiglia».
Correre con dei fratelli cosa vuol dire?
«Che non li puoi deludere, che devi arrivare dove gli hai promesso. E’ bello aiutarci a vicenda, esserci sempre. Mi viene la pelle d’oca a parlarne».
Sempre Villa dice che lei è l’uomo delle cose incredibili. E’ così?
«Io faccio il mio lavoro, cerco di dare sempre il cento per cento, è così che si fa».
Prima di un Mondiale a che cosa si pensa? Ai titoli o ai record?
«Vado per gradi, una cosa alla volta. Ora penso al quartetto, stiamo lavorando. Dal 27 sera azzero perché la mattina dopo comincia l’individuale. Quanto al record, sono qui prima di tutto per difendere il titolo. Poi se ci sono le condizioni, magari penserò a migliorarmi».
Lo stesso vale per il record dell’ora?
«Ho sentito dire che ci proverò quest’anno. Non ho mai negato, ma c’è davvero tanta carne al fuoco. Vorrei finire di cuocere bene quello che ho messo su, poi ci penseremo. Fra le tante cose a cui penso c’è anche la stagione su strada: mi aspetta la Tirreno, che è una corsa che amo. Poi il Giro d’Italia. Non sono soltanto un pistard».
A ventitrè anni corre per il quarto titolo mondiale. Quanto è diverso dal ragazzo che quattro anni fa vinse il primo?
«Corro 14 secondi più veloce. Migliorarmi non sarà facile, anche gli altri hanno fatto un grande salto di qualità, ma io penso a me stesso, a non sbagliare nulla. Al mondo sono fra i pochi che hanno vinto tre mondiali, penso a entrare nella storia. Ma se volete un pronostico, l’intervista finisce qui».
Quanto è cambiato Filippo da quello del 2016?
«Forse sono cresciuto di testa, ero un ragazzino che pensava a giocare, adesso so che sto facendo un lavoro e non devo sottovalutare nulla».
In Argentina il ventenne Evenepoel l’ha battuta. In squadra con lei c’è Bernal, che ha vinto il Tour a ventidue anni. Pogacar ha ventun anni. Il ciclismo sta vivendo un rapidissimo cambio generazionale: per caso le capita di sentirsi già vecchio?
«Oddio no, forse sono soltanto un po’ sfortunato: siamo in tanti ad essere nati in questo periodo, la concorrenza è fortissima. Ma è anche il bello dello sport».