Il problema c’è da tempo, ma non si vede. Nel senso che si fa finta di non vedere e quel che è peggio si fa finta di non sentire. Non è il caso di demonizzare nessuno, ma è anche bene non trascurare l’argomomento che è di estrema gravità e attualità. Gli abusi e le molestie nel mondo rosa del ciclismo non è un’invenzione mediatica, anzi, a livello giornalistico in Italia non se n’è parlato quasi mai, perché fino ad oggi sono arrivati solo qualche voce, mugugno e nulla più. C’è chi sostiene che in Federciclismo qualche anno fa qualcosa sia arrivato (un dossier) ma poi le ragazze offese e le loro rispettive famiglie hanno deciso di non portare avanti nessuna azione legale.
Insomma, il problema c’è e quello che il Corriere della Sera per mano di Marco Bonarrigo porta alla luce quest'oggi non è certamente una fantasia giornalistica. Adesso ci sono ragazze disposte a parlare e a denunciare comportamenti che definire al limite della decenza è un semplice eufemismo.
«Lo stipendio era basso – si legge sul Corriere della Sera in edicola questa mattina: la Health Mate-Cyclelive faticava a trovare sponsor. Così il manager ci propose di vivere da lui a Ekeren, in Belgio. Sei cicliste di sei Nazioni diverse nell’ultimo piano di una casa molto grande e la soluzione sembrava ok. Il problema è che lui, da subito, si mostrò troppo espansivo: cercava di abbracciarci o baciarci, girava in mutande, faceva commenti sul nostro corpo e quando ci ritiravamo infastidite lasciava intendere che non ci avrebbe selezionate per le gare. Per evitarlo sono arrivata a chiudermi in camera tutto il giorno. Alla fine sono scoppiata».
Esther Meisels, 24 anni, israeliana, è una delle quattro cicliste (tra loro Tara Gins e Chloë Turblin) che hanno denunciato (in prima battuta al sito cyclingnews.com) Patrick Van Gamsen, patron di Health Mate, sostenute da altre dieci colleghe che hanno chiesto l’anonimato. Da aprile, dopo essersi ritirata alla Liegi-Bastogne-Liegi, Ester Meisels e le sue colleghe sono senza lavoro. Altre dieci pedalano ancora agli ordini di un manager in carica in attesa di una decisione della Commissione etica federale con una procedura discutibile (articolo 21) che «non concede al denunciante di costituirsi nel procedimento o di essere informato sul suo andamento e ne prevede la convocazione a discrezione dei consiglieri».
Il #meToo è arrivato anche nel ciclismo, e c’era da immaginarselo, perché questo problema discriminatorio nei confronti delle ragazze è trasversale, in ogni sport e ad ogni livello. «Allo scandalo della belga Health Mate si aggiunge quello, datato 2017 ma ancora non chiarito, della Cervelo-Bigla – scrive sempre il Corriere -, dove milita la star Annemieke van Vleuten: quattro atlete (Iris Slappendel, Carmen Small, Vera Koedooder e Doris Schweizer) hanno accusato il manager Thomas Campana di intimidazioni, atti di bullismo e discriminazioni legate alle loro oscillazioni di peso, tema ricorrente nelle denunce…». E ancora: «La denuncia più celebre in questo senso viene dalla pistard inglese Jessica Varnish, «bullizzata» dal coach-guru Shane Sutton: lui è stato allontanato (tornando però ad allenare in Australia), la federazione non ha pagato per averne sostenuto i metodi».
Si distinguono i tedeschi del Team Sunweb (uno dei più ricchi, lo stesso del vincitore del Giro 2017 Tom Dumoulin) che lunedì scorso ha annunciato un decalogo contro gli abusi destinato a proteggere le ragazze al motto di «#MeToo cycling».
E Marco Bonarrigo ha raccolto anche la testimonianza della campionessa d’Italia ed ex campionessa del mondo Marta Bastianelli. «Quella della Sunweb è una decisione bellissima – spiega al Corriere — ma attuabile solo con i budget milionari di Sunweb. Noi continueremo a non avere bus dove svestirci o fare la doccia, molte ragazze continueranno a cambiarsi in auto o a fare pipì in un angolo protette dalle compagne».
Statene pur certi, la questione non si chiuderà qui.