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LEFEVERE: «LA RIFORMA 2020? VA BENE SOLO SE LA PAGA LAPPARTIENT»
di Giulia De Maio | 09/01/2019 | 07:45

È a capo di un branco di lupi, ma non ha peli sulla lingua. Patrick Lefevere regala sempre parole forti e riflessioni acute, anche quando parla una lingua per lui straniera come l'italiano. È un lupo di mare e una vecchia volpe. Idee chiare e lingua affilata. Non potrebbe essere altrimenti per uno dei manager più longevi nel mondo del ciclismo, che con la sua Deceuninck – Quick-Step è pronto a vivere la 17esima stagione alla guida di un team.

Dopo un anno stellare, dove trovate le motivazioni per migliorarvi ulteriormente? 

«Siamo spinti dall'adrenalina della scorsa stagione. Negli ultimi 6 anni siamo stati la squadra più vincente del mondo. Quando hai un titolo non vuoi ridarlo indietro».

Insieme a Saronni e Unzue è tra i manager in attività più esperti. Qual è il suo segreto? 

«La passione. Ho iniziato come direttore sportivo il 10 giugno 1979, sono diventato general manager con la Mapei nel '99. Dall'altro ieri ho il diritto di andare in pensione (il 6 gennaio ha compiuto 64 anni, ndr), ma lo rifiuto. Voglio restare attivo. Vedo amici che hanno una vita "normale", che stanno a casa a passeggiare con i nipotini, e mi sembrano...  vecchi. Quando mi guardo allo specchio riconosco che non sono più un ragazzino nemmeno io, ma ho ancora tanta voglia di fare».

Per tenersi giovane ha deciso di ingaggiare un ragazzo di 18 anni: il fenomeno Evenepoel. 

«Già (sorride, ndr). Come Johan Museeuw e Tom Boonen arriva da una famiglia in cui il padre ha smesso di correre presto. Remco ha avuto una brillante carriera da calciatore interrotta improvvisamente, i suoi genitori temevano sarebbe potuto succedere anche con il ciclismo. Se è qui è perchè si fidano di me. Ho promesso a sua mamma di prendermene cura come se fosse figlio mio. Sono un tecnico di lungo corso, ne ho viste tante di promesse ma lui è davvero un talento fuori dal comune. Anche io sono stato un buon juniores, nella mia epoca il numero 1 era Jean-Luc Vandenbroucke, zio di Frank, che chiamavano il nuovo Merckx. Generalmente andavamo in fuga insieme e poi mi batteva allo sprint, mentre questo qua stacca tutto il mondo. Detto questo, nella massima categoria riparte da zero e faremo del nostro meglio per tutelarlo».

Soddisfatto della resa di Viviani? 

«Elia è stato un regalo bellissimo e la migliore decisione che ho preso l'inverno scorso. Il giorno che Giovanni Lombardi mi ha chiamato facendomi capire che voleva andar via da Sky e non era ancora fatta con la UAE è come se avessi parato un goal già entrato in porta. Anche quest'anno sono certo ci regalerà delle grandi soddisfazioni».

Su chi altro scommetterebbe a oggi? 

«Non scommetto mai perchè vinco sempre».

Sky alla fine di quest'anno lascerà il ciclismo. Se anche i team più forti faticano a trovare sponsor siamo proprio messi male...

«È proprio così. Alcuni giornalisti belgi mi hanno chiesto se fossi contento di questa notizia, ma chiaramente non lo sono perchè è un problema per tutto lo sport. Come se sparisse il Real Madrid per il Paris Saint Germain. Se Dave (Brailsford, ndr) troverà un nuovo sponsor, come gli auguro, e avrà un budget sui 25 milioni (la media di una formazione World Tour al momento è sui 18) diventerà un mio collega a tutti gli effetti. Dovrà lasciare andar via certi corridori e ingegnarsi perchè prendere decisioni con il portafoglio pieno è facile...».

Cosa pensa della riforma del ciclismo che entrerà in vigore nel 2020? Le squadre dovranno avere un team femminile e uno continental, ciò comporterà inevitabilmente un aumento ulteriore dei costi.

«Per me va bene se mister Lappartient paga tutto lui. Viene da un altro mondo, dalla politica. Da sindaco di un comune se hai una perdita, la copre lo Stato quindi io, tu, tutti. Non si rende conto che allestire una squadra con soldi privati è tutta un'altra storia. Se il mio budget non è sufficiente a coprire quanto spendo devo pagare io quanto manca, non lo Stato, un ministero o la lotteria nazionale. In tutta la mia carriera io non ho mai usufruito di un euro di sussidi. Lo invito a provare a gestire una squadra. I suoi conti non tornano. Dice che ci basterebbe investire l'1,5% del nostro budget totale per la squadra femminile. Su 20 milioni equivarrebbe a 300.000 euro, se vogliamo garantire alle atlete un minimo sindacale di 20.000 euro, come sarebbe giusto, e avere 12 ragazze per squadra, i soldi sono già finiti. E il resto chi lo paga? Mezzi, staff, trasferte non li paga la comunità...».

È così insensato pensare a un World Tour ristretto a 14-15 squadre invece di 18, così che i team con un budget inferiore alle formazioni top possano ambire a più wild card per i grandi giri?

«Non penso serva a nulla o risolva i problemi del nostro sport. Già anni fa quando le squadre maggiori si chiamavano Gs1 si discuteva di aumentare gli inviti alle corse più importanti e ridurre i top teams a 16, ma credo che 4 posti liberi come quelli previsti attualmente per le Professional siano sufficienti. Toccando ferro perchè non si verifichino più episodi gravi, chi negli ultimi anni ha avuto problemi di doping serio (non ventolin, per intenderci) sono state le squadre minori. Iniziamo a far investire loro quanto noi nell'antidoping, poi possiamo riparlarne».

credito foto © Sigfrid Eggers / Deceuninck - Quick-Step Cycling Team 

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