Sergio Ghisleni è un giornalista bergamasco, anticonvenzionale e
biciclettaro perso. Per anni redattore de La Gazzetta dello Sport, ha
lasciato la Lombardia per seguire la moglie Catarina Pollini, grande cestista italiana, che si è trasferita in Spagna per giocare. In Spagna oggi sergio vive, in Spagna spera di tornare tra tre mesi, dopo aver affrontato in bicicletta il viaggio "Cost tu cost" negli States, da Ovest a Est. Dall'America selvaggia ci manderà i suoi reportage. Ecco il primo.
"Ci
sono tre porti sicuri nel Mediterraneo: Port Mahou, Luglio, e Agosto".
Questo amava ripetere Sir Francis Drake, o l’ammiraglio Nelson, o
qualche altro vip storico che sapeva qualcosa di navigazione. Non
controllo perché viaggio senza supporto tecnologico alcuno e farlo ora,
da una biblioteca pubblica di Baker City, Oregon, sarebbe barare. Se la
memoria é buona, bene, sennò pazienza.
Pedalare stimola i pochi
neuroni che restano, visto che dai 25 anni in su li distruggiamo, e
quindi io ho passato più anni distruggendoli che producendoli. E non
solo intorno al sacro Mare Nostrum, che nell'immenso Nordamerica,
pedalare in luglio o agosto può aiutare a mantenerli asciutti, i neuroni
e il resto della vecchia carcassa.
Anche se poi, in posti come
McKenzie Pass, dove dalla foresta pacifica verde profondo passi di colpo
a un altopiano vulcanico da paura (ma vera), scopri che luglio sarà
anche un posto sicuro, ma è la fine della pelle di avambracci, ginocchia
e punta del naso. Non mi bruciavo la punta del naso da quando a 13 anni
feci scuola sci al Livrio, sopra lo Stelvio.
Sì, lo Stelvio,
mecca dei ciclisti dell’universo mondo: me lo ha citato un signore che a
Leaburg (traguardo volante della 2.a tappa, in palio una lemonade
gelata) mi ha fatto una capa tanta sul fatto di aver pedalato da noi,
nel 1963: "feci lo Stelvio con una bici a 5 rapporti. Poi andai a Milano
e comprai una bici Cinelli: esistono ancora?". Non lo so, sir, ma
l’importante è che esista ancora lei. "Enjoy your trip, my friend".
E
quanti amici fai, in pochi minuti, in Oregon. Anche se incontri più
animali che uomini (come sempre? ah ah...), quando qualcuno ti vede
appena appena in ambasce è capace che ti ferma e ti offre la più
provvidenziale delle bottiglie d'acqua, tirata fuori da quegli immensi
frigo portatili usciti da quegli immensi bauli di quegli immensi pick-up
o supercompattoni che quando ti passan vicino muovon più aria del
Concorde (buonanima). Ma ti passano più al largo che da noi, e non solo
perché c'è più spazio. Anche perché in Oregon, nel profondo west della
nuova frontiera, la bici è davvero l'Anticavallo breriano, in qualche
modo l'erede di un mezzo di trasporto che ha fatto la storia degli
States. Quindi è rispettata. Quindi è parte attiva del paesaggio urbano:
a Portland, la capitale, sbarchi dall’aereo, vai in centro, e vedi
passare degli autobus urbani che hanno una bici agganciata sotto il
parabrezza: una bici vera, non un simbolo. Vuol dire: su questo bus puoi
salire con la bici. Detto tutto, mi pare.
E qui mi fermo, per
scadenza di free Internet connection time. Prima settimana, 432 miglia
fatte, più di 3600 davanti, ma sono fiducioso e quel senso di vuoto
esistenziale, di ma che cacchio sto facendo, di forrestgumpismo latente,
forse poco a poco se ne va. Anche per questo avevo deciso di fare il
viaggio da Ovest a Est: sei lontano da matto e qualche sera spremi anche
una lacrima, ma almeno hai la sensazione che stai andando verso casa. E
se mi hai letto fin qui, ti ringrazio di cuore e ti saluto from
wonderful Oregon.
Sergio Ghisleni