Se volete parlare di resa non fatelo con Gaia Realini perché questa parola nel suo vocabolario non esiste. Forza e determinazione, la ventitreenne della Lidl Trek ha fatto della grinta il suo marchio di fabbrica. Sarà forse il sangue abruzzese o gli anni giovanili nel fango del ciclocross, ma Gaia sta ormai diventando una garanzia del ciclismo italiano. Il suo carattere forte non è di certo una novità, ma durante il Tour de France Femmes, corso dal 12 al 18 agosto, ha confermato ciò che tutti più o meno avevamo già capito: è lei il presente e il futuro del ciclismo italiano per le corse a tappe. Quando chiamiamo Gaia per una chiacchierata, il Tour è finito da meno di una settimana e si sta godendo quei pochi giorni di meritato relax prima di partire per la prossima avventura. Ci bastano un paio di battute per capire che la Grande Boucle è stata un’esperienza pazzesca che l’ha cambiata completamente, i numeri parlano di una prestazione super per l’abruzzese: quinta in classifica generale, sempre davanti con le grandi, ma soprattutto per la prima volta nelle vesti di unica capitana in un grande giro.
Dopo il grande ritorno del Tour de France Femmes, ormai avvenuto nel 2022, la Grande Boucle al femminile ha alzato ulteriormente l’asticella con una partenza dall’Olanda e poi tappe in Belgio, la culla del ciclismo; se dalla televisione già la situazione è sembrata impressionante, ancora di più lo è stato per chi lo ha vissuto, una macchina con migliaia di tifosi che hanno letteralmente invaso le strade. Gaia Realini è stata travolta dall’abbraccio della folla, alla sua prima partecipazione alla corsa a tappe francese ha potuto toccare con mano un mondo che aveva solo sentito raccontare e che solo da poco tempo ha anche la sua versione al femminile.
«In Belgio e in Olanda il ciclismo è sentito in maniera differente, sapevo che ci sarebbe stata tantissima gente, ma non mi aspettavo niente di quello che ho visto. Non ci sono parole per descrivere le giornate del Tour, i tifosi invadevano le strade, ci incitavano, in nessuna corsa femminile si è mai visto qualcosa di simile, è stato tutto bellissimo e ho avuto una carica in più, speciale. L’emozione più grande è stata sull’Alpe d’Huez, è una salita che ho imparato a conoscere dalla televisione seguendo l’edizione maschile, c’era sempre tantissima gente e mi chiedevo perché anche le donne non avessero la possibilità di avere un sostegno del genere. Invece questa volta è successo, ho provato anche io quel brivido» ci spiega Gaia che giorno dopo giorno ha costruito un sogno che ha il sapore della consapevolezza.
Dopo una Vuelta sfortunata (si è ritirata alla sesta tappa a causa di una caduta) e una corsa rosa in pieno supporto di Elisa Longo Borghini, l’abruzzese si è concessa un paio di giorni di stacco prima di volare ad Andorra per un ritiro in altura. Partecipare al Tour era nei piani sin da inizio anno, con il chiaro obiettivo di affrontare la prima Grande Boucle della carriera aiutando Longo e Van Anrooij, per concedersi magari qualche sfizio personale solo nelle ultime tappe di salita; invece con un coup de theatre degno del miglior mago della piazza, Gaia Realini si è trovata improvvisamente investita del ruolo di capitana. Nessuno se lo aspettava, soprattutto l’abruzzese che da un giorno all’altro ha dovuto fare i conti con il forfait della campionessa italiana causa infortunio e con il peso di una responsabilità che fino a quel momento non aveva mai gestito.
«Sapevo già che quest’anno avrei affrontato tutti i tre grandi i Giri, ma il mio ruolo doveva essere diverso, dovevo correre in supporto di Shirin ed Elisa e magari solo eventualmente provare a fare risultato, invece qualche giorno prima della gara la squadra mi ha detto che sarei stata io l’unica capitana e che tutti avrebbero corso per me. Non ci credevo, ero scioccata».
Gaia ci parla senza troppi giri di parole e con la schiettezza che le è propria, confidandoci come all’inizio fosse grandissima la paura di avere una responsabilità del genere. La possibilità di fallire e di deludere tutti era dietro l’angolo: ma se qualcuno a quel punto avrebbe mollato, l’abruzzese ha trovato lo slancio per ritagliarsi un ruolo da assoluta protagonista lottando tra le grandi.
«All’inizio ero un po’ confusa e impaurita per questo nuovo ruolo, ma ho capito subito che mi stavano dando una grandissima opportunità e non potevo sprecarla: ero al mio primo Tour e avevo sulle spalle la responsabilità di fare classifica, non dovevo assolutamente fallire. Nelle precedenti corse a tappe ho sempre corso in supporto di qualcuno, di solito c’era Elisa Longo Borghini che per me è stata una vera e propria chioccia, era lei che aveva tutte le responsabilità e quindi averla al mio fianco era un sicurezza. Questa volta però lei non c’era, non c’era nemmeno in squadra per chiederle un consiglio, ero sola, dipendeva tutto da me; in qualche modo è stata una specie di prova generale in vista dell’anno prossimo quando lei non sarà più con noi. La squadra è stata incredibile, mi ha supportato in tutto e per tutto, sempre al mio fianco nei momenti difficili, io ho cercato di non deluderli. Nell’ultima tappa ai piedi dell’Alpe d’Huez ero finita, mancavano 13 km tutti in salita, non ce la facevo, le gambe erano andate, ma c’era la testa, sapevo che non potevo arrendermi perché la squadra aveva lavorato duramente per me. Ho pedalato con tutto il cuore che avevo, ad ogni curva i tifosi mi abbracciavano, mi correvano accanto e mi davano sempre più forza. Arrivata in cima è stato bellissimo, avevo concluso il Tour al quinto posto, ce l’avevo fatta, ce l’avevamo fatta, la Lidl Trek ed io».
È facile intuire dalle parole di Gaia il segreto di tanta determinazione che non è frutto unicamente del suo carattere, ma merito di un team che l’ha letteralmente svezzata corsa dopo corsa. La Lidl Trek è la squadra più forte e più unita del panorama femminile, lo testimoniano le ragazze con i loro racconti e lo dimostrano i numeri che parlano di una forza non solo unitaria, ma collettiva. L’abruzzese è cresciuta in seno al team americano che l’anno scorso le ha fatto fare il salto nel World Tour ed ora l’ha investita del ruolo da capitana, Gaia è maturata e ha trasformato il suo carattere combattivo nella chiave di volta del suo successo. Se più volte ci aveva parlato del ruolo determinante di Elisa Longo Borghini, in questo Tour ha invece trovato una maestra in Elizabeth Deignan; la fuoriclasse britannica vincitrice di un campionato del mondo e di una Parigi Roubaix l’ha presa letteralmente sotto la sua ala traghettandola nel corso di tutta la Grande Boucle.
«Se dovessi dire cosa mi porto a casa da questo Tour, farei un nome preciso: Lizzie Deignan - ci dice Gaia -. In lei ho trovato un vero e proprio punto di riferimento senza il quale non avrei potuto portare a termine il mio Tour. Per me è stata una forza, un porto sicuro, una specie di mamma che aveva sempre una parola per me e che in qualche modo mi faceva sentire un po’ a casa. Eravamo in stanza insieme, non so se sia stato un caso o no, ma la sua calma e la sua vicinanza mi hanno messo nella condizione migliore per affrontare questa gara».
Se l’abruzzese e la sua Lidl Trek hanno dimostrato una solidità ed un’unità incredibile, lo stesso non si può dire della Sd Worx che con Demi Vollering si è trovata a perdere il Tour per un vero e proprio errore del team. Virare su questo discorso con Gaia diventa quasi inevitabile, così come il prendere coscienza che nella squadra olandese c’è qualcosa che evidentemente non va. Dopo tutti i favori del pronostico della vigilia, il secondo Tour della carriera sembrava già saldamente nelle mani di Demi Vollering che nella terza tappa si era presa la maglia gialla. Una tattica perfetta che aveva già proiettato le avversarie sulla lotta al secondo posto, ma nella quinta tappa succede il patatrac: l’olandese cade a 6 km dal traguardo, nessuno della sua squadra si ferma e all’arrivo paga 1’47” che le saranno fatali visto che il bilancio del Tour parla di una corsa persa per soli 4 secondi.
«Quando ho visto quello che è successo a Vollering mi è dispiaciuto, fa un certo effetto vedere qualcuno che perde il Tour per così poco, soprattutto se si tratta di una come lei che la corsa avrebbe potuto vincerla a mani basse. Demi è una fuoriclasse, già alla seconda tappa aveva la maglia gialla e nell’ultima giornata è scattata a più di 50 km dal traguardo facendo una vera e propria impresa, ma non è bastato per colpa di una cavolata di squadra. Non entro in merito alle decisioni del team, ma credo che ci sia qualcosa che non vada da inizio stagione, Vollering l’anno prossimo cambierà squadra, ma questo non giustifica il fatto che le compagne non debbano lavorare per lei. Noi abbiamo una situazione simile con la Longo che se ne andrà a fine stagione, ma comunque tutte continuiamo a supportarla e lo faremo fino all’ultimo».
Se il Tour è stato amaro per Vollering, è invece stato dolce per “Kasia” Niewiadoma che da eterna seconda si è portata a casa la sua corsa dei sogni. In gruppo sono state tutte felici per la sua vittoria, è la stessa Realini a confermarcelo: è la rivalsa per la polacca che è il simbolo di chi non si arrende mai.
«Non si può non essere felici per la sua vittoria, è una ragazza fantastica ma è anche la dimostrazione che non bisogna mai arrendersi. Kasia ha avuto tante delusioni, ma non ha mai mollato, è l’esempio che alla fine tutto torna, forse non subito, ma prima o poi tutti i sacrifici verranno ripagati - riprende Gaia che del non mollare ha fatto un vero e proprio marchio di fabbrica -. Non bisogna mai arrendersi, se Gaia molla c’è qualcosa dietro che non va, ma fidatevi che combatterà fino alla fine. Ammetto che in questa stagione ho avuto dei momenti difficili; è stata dura riprendere dopo la caduta alla Vuelta e durante le corse del nord ero piuttosto delusa perché non ottenevo i risultati che speravo, ma la squadra mi ha fatto credere nelle mie possibilità. Invece di arrendermi, ho iniziato a guardare avanti, agli altri grandi appuntamenti che mi aspettavano, c’erano il Giro e il Tour, dovevo farmi trovare pronta!».
Dopo un Tour di tante gioie, ma anche di tanta fatica, altre gare ancora. Nel mezzo c’è però qualcosa che prende tutta la sua attenzione, ce lo dice quasi sottovoce per poi lasciarsi andare dando libero sfogo ai suoi sogni.
«Quest’anno il percorso di mondiali è particolarmente interessante. Non ci sono salite molto lunghe, ma il tracciato è molto duro. Indossare la maglia azzurra sarebbe un sogno, ci spero tanto, ci penso ogni giorno, anelo di ricevere una mail, una chiamata, qualsiasi cosa dal ct Sangalli che però non si è fatto ancora sentire. Speriamo che prima o poi accada» ci confida Gaia e nella sua voce traspare anche un po’ di emozione. Ormai abbiamo imparato a conoscerla come un’atleta sicura e determinata che ha raggiunto già grandi traguardi, ma i mondiali e la maglia azzurra sono quel sogno che ancora non ha potuto toccare.
«Se potessi parlare direttamente a Paolo Sangalli gli direi che sono a completa disposizione della squadra, sarei pronta a tutto, con la mia cattiveria potrei scremare il gruppo e spianare la strada a una Longo Borghini che finalizzerebbe al meglio. Essere al via dei mondiali sarebbe un sogno» e noi non possiamo fare altro che recapitare il messaggio...
da tuttoBICI di settembre