Amava il ciclismo. Lo definiva “un mondo buono e pulito”, addirittura “un mondo da ‘Cuore’ di De Amicis”. Amava anche i corridori. Li descriveva come “eroi”, che “sputavano davvero l’anima per diventarlo”.
Ho ritrovato l’amore di Indro Montanelli per il ciclismo e i corridori in una copia di “Le Stanze” (Rizzoli Bur, 1998), i dialoghi del giornalista toscano di Fucecchio con i suoi lettori, in paziente attesa sul tavolo di un book crossing. “Le Stanze” erano un appuntamento quotidiano, affettuoso, consapevole e rispettoso nei reciproci ruoli, quello di chi cerca la verità e quello di chi, acquistando il giornale (in quel caso: il “Corriere della sera”), ti concede la possibilità di essere libero e indipendente da condizioni e protezioni.
Rispondendo a una lettera del “suiveur” padovano Francesco Miloso, per un giorno – era il 13 ottobre 1996 - Montanelli abbandonò faide politiche e scandali economici, fatti di cronaca e questioni di storia, e frugando nella memoria si dedicò a Costante Girardengo. “Fu lui che mi convertì al culto della bicicletta attraverso un certo Panicacci, detto Stoppa, dal colore dei suoi capelli che, falegname al servizio di mio nonno, al momento del Giro perdeva la testa, inforcava una tossicolosa motocicletta, e un giorno tornò, bianco di polvere come un mugnaio e con la strepitosa notizia: ‘Girardengo è morto!’”.
L’episodio è esilarante. E ha due versioni: quella di Stoppa e quella dello stesso Girardengo, con cui Montanelli si confrontò anni dopo. Per chi non conoscesse questa storia eroica, non c’è che acquistare il libro o chiederne il prestito in una biblioteca o esplorare i book crossing, dove Montanelli continua ad abitare e vivere, illuminare e insegnare. Quel tossicolosa, per esempio.