L’impressione che si ha è quella di due amici al bar, che se la raccontano liberamente, non curanti degli astanti, di chi per loro fortuna è incappato in questo tipo di incontro. Uno è Beppe Saronni, pluricampione, uno dei corridori italiani più amati e grandi della storia, l’altro è un altro Beppe, in questo caso Conti, giornalista di lungocorso, moseriano di ferro, che ha ceduto alla fascinazione seduttiva del campione di Parabiago e ne ha raccolto mirabilmente i pensieri. Ne è venuto fuori un libro pieno zeppo di aneddoti e storie, pieno di verità «le mie verità, chiaramente», precisa ironico come sempre il Beppe da Goodwood.
Ecco, il libro parte proprio da lì, da quel 5 settembre di quarant’anni fa, quando quello scatto si fece “fucilata” (i diritti d’autore spettano a Sergio Neri, giornalista di vaglia, fondatore e storico direttore di Bici Sport, ndr), quando una progressione assunse i connotati di una proiezione verso il cielo. Quando Saronni si trasformò in Armstrong, in questo caso Neil, il primo a mettere il piede sulla luna. Una semplice montagnola «vicino alla costa meridionale dell’Inghilterra, fra Portsmouth e Brighton, contea del West Sussex, distretto di Chichester, villaggio di Westhampnett», che diventa una cima tempestosa, un surrogato di Mortirolo sul quale spiccare il volo e vincere una volata per distacco. Una meraviglia che ci conquistò.
“Saronni, Goodwood e le altre verità” (Graprot editrice, 20 €) è davvero un libro godibile, per il perfetto connubio tra un instancabile ricercatore di notizie come Beppe Conti e un uomo che da sempre sa facilitare la ricerca in quanto libro aperto, acqua pura e cristallina: pane al pane, vino al vino. Proprio come il suo rivale oggi amico e fornitore di vini pregiati, Francesco Moser, che non ha mai nascosto la propria antipatia per il giovane lombardo. Uno che lotta di spada, l’altro di fioretto: che duelli, che battaglie, che delizia per giornalisti e tifosi. Anche le più insignificanti corse assurgevano a classiche solo per la loro presenza, solo per il fatto che loro se le suonavano sempre e comunque, nessuno ci teneva a perdere, ma per questa loro voglia di vincere hanno perso tanto.
Se fossero andati più d’accordo avrebbero lasciato agli altri le briciole. Quando a Goodwood decisero di non farsi la guerra, Beppe vinse. Così come alla Sanremo dell’83, vinta per distacco, con un attacco sul Poggio, con un Moser che fa la sua corsa e pensa a vincere, non a farlo perdere.
C’è tanto in questo libro, dalle sue prime pedalate alla Bustese alle ultime da giovane-vecchio. Un libro schietto e sincero come solo Beppe Saronni sa essere, uno dei più acuti e intelligenti corridori della sua generazione. Ha sempre avuto il piglio del dirigente, del potenziale presidente di una Federazione o di una Lega, ma forse è stato frenato dalla sua voglia di pace, preferendo la famiglia alle luci della ribalta, lontano dagli schiamazzi e i litigi di chi è solito tirarti per un braccio per metterti in mezzo.
Lui ha sempre amato poco tirare, ma non ha mai rinunciato rilanciare l’azione, a inseguire pensieri e riflessioni, a usare parole taglienti per indicare la strada. Non è mai stato uomo di compromessi, esattamente «come quello là…».