Lasciati i muri e il pavè delle Fiandre, il ciclismo è protagonista ora in quella zona del Belgio in cui la pianura è sconosciuta. Lo scenario è completamente mutato rispetto alle Fiandre, spariscono all’improvviso i muri per lasciare il posto alle côtes, una lunga serie di colline da scalare che hanno segnato la storia della Liegi-Bastogne-Liegi.
Questa è una terra diversa dalle altre, è un autentico film storico, quello delle Ardenne che bruciano sotto i fuochi della Guerra e delle miniere, quelle del carbone, dove tanti italiani sono arrivati scappando dalla miseria, alla ricerca di quel sogno che avrebbe cambiato le loro vite. La Doyenne non è solo una corsa, ma è un racconto fatto di povertà, emarginazione sociale e drammi, quello dei migranti italiani che accorrevano sulle strade quando c’era la corsa, alla ricerca di un loro connazionale che vincendo in bici in quella terra straniera avrebbe cambiato la loro sorte, donando loro quella dignità che avevano perso quando erano andati via dall’Italia.
Sulla strada da Bastogne a Liegi, c’erano i minatori, gli uomini che non vedevano la luce, perché all’alba andavano in galleria e lavoravano fino a sera, quando il turno di lavoro finiva. La vita in miniera era difficile e l’Italia con i suoi uomini rappresentava la quota più alta dei lavoratori, perché era un lavoro duro, dove la salute si rovinava e si moriva, come accadde quell’otto agosto del 1956 a Marcinelle dove persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani. Quelli erano gli anni delle corse in bici, ma anche delle gallerie nere e degli ascensori che si inabissavano nella terra. Tutta la zona intorno a Liegi era popolata da quelli che venivano chiamati visi neri, gli operai delle miniere.
Le condizioni di lavoro per gli emigrati italiani erano al limite della dignità umana, con salari al di sotto dei minimi sindacali e garanzie sanitarie inesistenti. Il riscatto dei minatori italiani arrivò proprio con la Liegi-Bastogne-Liegi e Carmine Preziosi, nato nella provincia di Avellino a Sant’Angelo all’Esca e partito con la famiglia da bambino e migrato in Belgio, dove si stabilì nella cittadina di Parceness, non lontana da Charleroy. La vittoria a sorpresa di Preziosi alla Doyenne del 1965 rappresentò la rivalsa sociale dei nostri connazionali che, spinti dall’entusiasmo di quell’impresa, riuscirono a contrattare condizioni di lavoro più umane.
Carmine Preziosi era uno di loro, figlio di un migrante italiano arrivato in Belgio per andare in miniera. Era il 2 maggio del 1965 e gli italiani delle miniere speravano nella vittoria di un loro connazionale, pensando che quel terzo posto di Vittorio Adorni nel 1963 e 1964 non poteva bastare al loro riscatto. Pioveva e faceva freddo quel giorno e i corridori impiegarono più di 7 ore per portare a termine la corsa, che finiva nel velodromo. C’era stata una caduta e Carmine Preziosi con Vittorio Adorni erano in quel gruppetto di testa che riuscì a rimanere in piedi. Preziosi fece passare Adorni e si mise alla sua ruota, aveva 22 anni e nel finale riuscì a superare quell’uomo che poche settimane dopo avrebbe vinto il Giro d’Italia. Quel giorno i minatori italiani ebbero il loro riscatto, grazie alla Doyenne, che in qualche modo aveva sistemato le cose, dimostrando che su una bici, gli italiani erano come i belgi, in quelle Ardenne dove la ricchezza arrivava dalle miniere.
L’Italia nella Liegi-Bastogne-Liegi è la nazione che dopo il Belgio ha vinto più di tutti, ben 11 volte, rendendola la corsa degli italiani. Dopo la vittoria di Preziosi, la serie di vittorie azzurre è proseguita nel 1982 con Silvano Contini, primo davanti al beniamino di casa Fons De Wolf e lo svizzero Mutter. Quindi sono arrivati il poker di Moreno Argentin (1985-1986-1987-1991), le doppiette di Michele Bartoli (1997 e 1998) e Paolo Bettini (2000 e 2002) e i successi di Davide Rebellin (2004) e Danilo Di Luca (2007). L’anno straordinario dell’Italia alla Liegi è stato il 2002, quando il 21 aprile, Paolo Bettini, superò in una volata straordinaria, il compagno di squadra Stefano Garzelli. Poi a 15 secondi arrivò Ivan Basso, quello fu il primo e unico en plein tricolore sul podio. A completare quella giornata straordinaria ci fu il quarto posto di Mirko Celestino e il quinto di Massimo Codol. L’edizione del 1994 viene invece ricordata come quella con più italiani nei primi 10, erano 7 in totale con la vittoria che andò al russo Eugeni Berzin davanti a Lance Armstrong.
Negli ultimi 10 anni solo tre azzurri sono saliti sul podio, con Vincenzo Nibali secondo nel 2012 ed Enrico Gasparotto terzo nella stessa edizione e poi nel 2019 con Davide Formolo.
Quando si torna sulle strade della Liegi è facile sentire la gente che parla italiano, si riconoscono i dialetti del Sud Italia, quello che i figli dei nostri minatori, hanno conservato gelosamente per anni, per non nascondere le proprie origini. Nella zona che da Mons supera Charleroy e arriva a Namur e Liegi, la lingua italiana è molto diffusa, così come i negozi, gestiti ancora oggi da famiglie italiane arrivate tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Abbiamo incontrato in questo viaggio alcuni di loro. Angelo, con la mamma siciliana e il papà sardo, è nato e cresciuto a Cherleroy e poi Marino arrivato piccolissimo dalla provincia di Reggio Calabria che si stabilì a Namur e anche Grazia nata a Liegi da genitori piemontesi.
Forse sono in pochi a saperlo oggi, ma gli italiani nelle miniere del Belgio arrivarono in seguito al protocollo italo-belga firmato a Roma il 23 giugno 1946, per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio. In cambio il governo belga si impegnava a vendere mensilmente all’Italia un minimo di 2.500 tonnellate di carbone ogni 1.000 minatori immigrati.
La manodopera non doveva avere più di 35 anni e gli invii riguardavano 2.000 persone alla volta (per settimana). Il contratto prevedeva 5 anni di miniera, con l’obbligo tassativo, pena l’arresto, di farne almeno uno. Angelo ha raccontato della mamma che le corse di ciclismo le seguiva alla radio con la nonna e che il papà con lo zio la mattina della Liegi-Bastogne-Liegi partivano presto per andare a guardare la corsa, faticando per trovare un posto sull’ultima salita prima del traguardo.
Grazia oggi non ha più i genitori, ma ricorda ancora commossa quella bici di seconda mano che proprio il padre volle regalare ai suoi tre figli con tanti sacrifici. Erano tre bambini con una bici sola e facevano a turno per salirci e qualche volta provavano ad andarci tutti insieme, con cadute e risate. Marino il papà lo ha perso con una malattia polmonare, causata dal lavoro in miniera e anche lui ricorda la Liegi quando il papà lo portava a vedere la corsa insieme ai loro compaesani. Oggi le miniere sono chiuse e gli italiani non sono più minatori: il ciclismo per loro è stato il riscatto in quel Paese straniero,dove hanno potuto dimostrare di essere bravi e forti come gli altri e qualche volta anche più bravi di tutti gli altri.