Erano gli anni ’60 e in quel mondo in cui le donne che correvano in bici erano un tabù, c’erano due ragazze in Belgio che, con i loro pantaloncini troppo corti e quelle bici così pesanti, avevano deciso di rivoluzionare lo sport.
Sulla scia di Alfonsina Strada, con i suoi due Giri di Lombardia e quell’eroico Giro d’Italia del 1924, Marie-Therese Naessens e Yvonne Reynders, figlie della classe operaia, hanno insegnato al mondo del ciclismo che si poteva vincere anche senza massaggiatori e allenatori, andando perfino contro a chi si divertiva a sabotare le loro bici prima delle gare.
Yvonne Reynders oggi ha 85 anni e nella storia del ciclismo femminile è una delle atlete più vincenti, con 4 ori, 2 argenti e un bronzo conquistati ai Mondiali su strada e 3 ori e tre argenti portati a casa nei Mondiali su pista. Marie-Therese Naessens che quest’anno ha spento 82 candeline, nella sua carriera è stata rivale e compagna di squadra di Yvonne e insieme hanno combattuto ognuna per portare via la vittoria all’altra. Marie-Therese Naessens in pista era forte e ha conquistato 6 titoli nazionali e nel 1962 è salita come terza su quel podio tutto belga ai Mondiali italiani di Salò, con l’oro conquistato da Marie-Rose Gaillard e l’argento andato a Yvonne Reynders, che però, sul gradino più alto era già salita nel 1959 e nel 1961.
Marie-Therese e Yvonne hanno scritto una storia fatta di sfide, di fatica e di affermazione, perché in un ciclismo tutto al maschile loro sono state costrette a dimostrare che in quello sport, erano brave veramente. Marie-Therese iniziò a correre perché in famiglia le bici c’erano sempre state e lei da ragazzina andava a vedere le gare dei cugini e del fratello. «Per me non è stato semplice gareggiare, perché non era un lavoro e in famiglia dovevamo lavorare tutti».
Per correre in bici era costretta a lavorare ed era talmente ingegnosa che, per arrotondare, aveva imparato a riparare le ruote dei professionisti. Prendeva 5 franchi per ogni copertone che ricuciva, usato poi dai professionisti durante gli allenamenti.
«All’inizio gli uomini non avevano capito che io ero una donna – ha raccontato Yvonne –,: avevo i capelli corti e lavoravo il carbone ed era difficile in effetti capire chi fossi. Quando iniziarono a conoscermi, devo dire che erano gentili e forse troppo. Mi chiedevano se volevo salire in macchina, quando mi stavo ancora allenando e loro avevano finito e ogni volta dovevo ricordare loro che non potevo fermarmi e così gli passavo il mio zaino».
La loro è stata una vita da pioniere, hanno dovuto lottare per difendere i propri diritti e quella voglia di poter correre in bici come facevano gli uomini. «Per noi donne era vietato andare in pista dietro ai derny – ricorda Yvonne –: per farlo mi tagliai i capelli cortissimi e per un po’ funzionò. Poi un giorno qualcuno disse che ero una donna e venni costretta a lasciare la pista. Non fu una cosa bella per me».
Le sfide loro le hanno accettate e hanno combattuto per quei diritti negati: le donne in Belgio correvano senza ingaggio e per protesta Yvonne, che per 7 volte è diventata campionessa del mondo, decise di andare a correre in Francia. «Una volta in Francia ero in una gara dove uomini e donne correvano insieme. Noi partivamo prima a metà di una salita e dovevamo fare 7 giri del circuito, gli uomini all’inizio della salita e avevano 10 giri. Gli uomini ben presto ci raggiunsero e noi ci spostammo per farli passare e ad un certo punto decisi di attaccare, perché volevo sbrigarmi a tornare a casa. In quella corsa c’era anche Raymond Poulidor. Senza sapere come, mi ritrovai con 5 persone che non conoscevo, erano i fuggitivi della gara maschile e all’improvviso dalla moto della giuria, ci fu una voce che mi disse che dovevo fermarmi e che non dovevo correre con loro».
Il ciclismo era al maschile ma quei 5 fuggitivi avevano rispetto per Yvonne e per protesta decisero di fermarsi, finchè la giuria comunicò che tutti potevano proseguire, compresa Yvonne che nella discesa salutò i suoi compagni di fuga.
Marie-Therese Naessens, che nella sua adolescenza era indecisa tra la vita da missionaria e la bici, più volte si trovò alle prese con chi aveva deciso che in corsa lei non doveva andare. «Più volte hanno svitato il mio reggisella e una volta a Zingem il mio reggisella è stato tagliato a metà così ho perso la sella in gara».
Essere donna e andare in bici non era facile e Marie-Therese correva e lavorava in una filanda, perché nel Belgio fiammingo non si guadagnava e così andò a correre in Vallonia, dove i soldi erano di più.
«In Vallonia correvo tanto e i premi erano buoni. Prendevamo 500 franchi, 1000 franchi, ma andavano bene anche 50 e 100 franchi. Erano un sacco di soldi all'epoca. In fabbrica lavoravo per 11 franchi l'ora. C'erano spesso anche premi in natura. Una volta vinsi una Kodak, e anche una giacca». Marie-Therese nei primi anni di corsa aveva imparato anche a vendere il bouquet di fiori che le davano quando vinceva, perché anche quello era un modo per guadagnare qualcosa in più.
Gli anni passavano e le cicliste del Belgio, vincevano ovunque, ma nonostante questo, rispetto ai colleghi uomini erano diverse e dovevano avere di meno. «Quando eravamo al Mondiale, i nostri responsabili, non ci facevano mangiare quello che volevamo e non ci era permesso bere vino, mentre per gli uomini non c’erano divieti. Dovevamo andare a letto a un'ora precisa e venivamo controllate ed è capitato che le nostre porte venissero chiuse a chiave».
Erano gli anni ’60 del ciclismo, quando le donne non potevano essere considerate delle vere atlete come gli uomini. Il 2021 è stato l’anno del Mondiali in Belgio e la rivincita in qualche modo c’è stata, non per la nazionale di casa, che ha chiuso senza conquistare l’oro, ma per Yvonne Reynders, accolta a Lovanio come la regina del ciclismo: con i suoi 7 titoli Mondiali conquistati, tra strada e pista, è stata attrice protagonista di una rivoluzione vinta correndo su una bici.