Le Olimpiadi di Tokyo si sono appena concluse, superando l’ostacolo del COVID e chi questi Giochi non li voleva. Sono state le Olimpiadi dei record, nelle quali le bandiere nazionali sono state 205 3 accanto a loro c’è stata una bandiera speciale, sotto la quale si sono uniti 29 atleti provenienti da diversi Paesi che hanno gareggiato in 12 discipline.
Sono stati i 29 atleti del team dei Rifugiati Olimpici, nati in luoghi diversi del mondo ma uniti da uno stesso desiderio, quello di partecipare all’evento sportivo più importante di tutti. La squadra era composta da 19 uomini e 10 donne, tutti atleti costretti a scappare dalla propria casa, lasciando spesso la famiglia, per cercare la salvezza.
Anche il ciclismo ha avuto i suoi atleti eroi: sono stati l’afgana Ali Zara Masomah e il siriano Ahmad Badreddin Wais. Lei viene dall’Afganistan dei talebani e, dopo essere stata candidata al Nobel per la pace, è stata costretta a fuggire da Kabul e oggi vive in Francia con sua sorella.
Ahmad Badreddin Wais invece è fuggito dalla guerra civile in Siria e ha dovuto abbandonare la sua città, Aleppo. Ahmad sognava di andare in Belgio, la patria del ciclismo, ma una volta lasciata la Turchia, si è fermato in Svizzera perché stremato: qui le Alpi lo hanno fatto innamorare di quel Paese così diverso dal suo.
Entrambi hanno gareggiato nella prova a cronometro, entrambi hanno fatto segnare l’ultimo tempo. Masomah è arrivata venticinquesima con oltre 14 minuti di ritardo dalla vincitrice, l’olandese Van Vleuten. Ahmad ha tagliato il traguardo con 13 minuti di ritardo da Primoz Roglic, ma al termine della corsa era l’uomo più felice del mondo. Ahmad e Masomah hanno realizzato il loro sogno, andando alle Olimpiadi hanno gareggiato per tutti quegli atleti che vivono in luoghi dove regna la guarda e per coloro che oggi vivono lontano dalla loro patria e che sono profughi. Ahmad e Masomah alle Olimpiadi hanno potuto partecipare grazie alle borse di studio messe a disposizione dal Cio, borse che hanno dato loro la possibilità di studiare e praticare sport.
Terminata l’esperienza olimpica, Ahmad è tornato in Svizzera e Masomah, la piccola ciclista di Kabul, è in Francia. Con le loro storie hanno fatto qualcosa di grande, perché hanno inviato un messaggio di speranza e pace al mondo intero. Masomah lotta per i diritti delle donne afgane e spera che un giorno, forse già a Parigi nel 2024, ci siano donne che possano gareggiare sotto la bandiera afgana e non quella dei rifugiati. Ahmad anche ha lo stesso desiderio: lui che ai Mondiali di ciclismo ha corso con la bandiera del suo Paese, non vuole essere più un rifugiato e spera che i conflitti possano terminare e che un giorno proprio la sua Siria possa ospitare una corsa ciclistica importante.
La prima apparizione dei rifugiati ai Giochi risale a Rio 2016 e gli atleti erano 10. A Tokyo il Cio ha assegnato 29 borse di studio che hanno permesso ad altrettanti atleti di realizzare un sogno importante, per se stessi e per i loro Paesi, diventando i testimoni di un messaggio capace di abbattere ogni frontiera e distanza e di raccontare la bellezza di sentirsi atleti liberi.