Finalmente le gare sono iniziate. Il primo titolo olimpico di Tokyo2020 del ciclismo se l'è aggiudicato Richard Carapaz. Lo scalatore dell'Ecuador che abbiamo conosciuto nel 2019 come re del Giro d'Italia ha tagliato un traguardo storico e fatto impazzire di gioia il suo Paese. Alla 32a edizione dei Giochi Olimpici non c'è nemmeno un giornalista suo connazionale, la trasferta dal Sud America al Giappone è troppo cara, ma indipendentemente da questo Richi si è meritato le prime pagine in tutto il mondo.
Io oggi non sono stata brillante come il nuovo campione olimpico, ero più simile a un Geraint Thomas finito per l'ennesima volta per le terre. Dopo aver dormito solo un paio d'ore (la cerimonia di apertura è stata stupenda ma decisamente lunga), ho condiviso un taxi di quelli che siamo autorizzati a prendere con il collega Alberto Dolfin, per raggiungere da Tokyo il Fuji International Speedway, l'autodromo ai piedi del Monte Fuji in cui si concludono le gare in linea. Fin lì tutto bene, ma quando siamo arrivati all'ingresso dell'autodromo i responsabili della security, che chiaramente non spiaccicano una parola di inglese, mi hanno bloccato perchè avevo con me la valigia. Mentre provavo a far capire loro che l'avrei portata dentro solo quest'oggi perché dovevo cambiare hotel, che potevano aprirla e vedere che all'interno non c'era nulla di strano o di pericoloso, una delle volontarie super imbarazzata mi ha fatto notare che mi si erano strappati i pantaloni che stavo indossando.
Arrivata quindi in sala stampa sudata marcia per il caldo e le scale percorse su e giù con un trolley grande quanto me, tento di aprire la valigia per tirar fuori un ricambio e ritornare ad essere una personcina presentabile. Il codice con cui la apro abitualmente non funziona. E allora via a girare le rotelline e provare le combinazioni finché grazie ad Alberto e all'intervento dell'inviato di RaiSport Stefano Rizzato riesco finalmente ad aprirla. Corro quindi alla toilette per cambiarmi e non faccio in tempo a togliermi la maglia che... mi si rompe la mascherina. Altro che Fantozzi, un disastro.
Al termine della corsa e delle interviste ai corridori altri chilometri a piedi macinati con trolley appresso per trovare il bus che mi avrebbe portato in hotel. Dopo aver ricevuto mille indicazioni contrastanti, trovo il punto di raccolta e scopro che devo aspettare un'ora. Ovviamente in questa inflessibile organizzazione i tempi vengono rispettati al secondo. Va beh, tutto bene quel che finisce bene. In tarda serata raggiungo finalmente la mia nuova camera nell'area di Mishima, più vicina a Izu, dove andranno in scena nei prossimi giorni le competizioni di mtb e pista, e nel giro di poco mi butto a letto.
Mi devo dare una regolata, se continuo ad andare a dormire all'orario italiano e a risvegliarmi a quello giapponese altro che prendermi la temperatura tutti i giorni per rispettare i protocolli anticovid. Non rischio la febbre, ma di non svegliarmi. Come in una corsa a tappe, devo gestire le forze giorno dopo giorno.
Leggi le puntate precedenti:
Mi sono venuti cinque cerchi alla testa
Benvenuti in Giappone, tra scartoffie e sorrisi
I miei primi Giochi non sono un gioco, ma che gioia!
La cerimonia di apertura è stata una fatica e figata olimpica