Dylan Groenewegen ha scelto l’Italia per tornare a correre. La sua sospensione finirà il 7 maggio e il giorno dopo potrà prendere il via al Giro d’Italia. Ieri alla conferenza stampa a Breukelen alle porte di Utrecht, l’olandese ha risposto a tutte le domande della stampa, soffermandosi sul percorso psicologico e sul rapporto con Fabio Jakobsen.
«Io e Fabio finalmente possiamo tornare a guardarci negli occhi». Queste sono le parole che tutti, nel mondo del ciclismo stavano aspettando. «Avevo mandato dei messaggi alla famiglia di Fabio dopo l’incidente ed è stato suo padre a rispondermi e ringraziarmi. Sapevo che Fabio non mi avrebbe risposto ma speravo, prima o poi di ricevere un suo messaggio».
Groenewegen ha continuato ad informarsi sullo stato di salute di Jakobsen. Ha continuato a mandare anche messaggi, rispettando sempre quel silenzio inevitabile. La risposta però, dopo mesi è arrivata e Fabio ha finalmente parlato con Dylan. Il tutto è avvenuto dopo il Giro di Turchia, quando improvvisamente Groenevegen ha ricevuto quell’invito che tanto aveva atteso.
«Ci siamo visti ad Amsterdam. Abbiamo parlato, sfogato i nostri cuori, diciamo. È stata una conversazione molto piacevole per entrambi. Ciò che è stato detto esattamente resterà tra me e Fabio. Non pensate che andremo a prendere un caffè insieme tutte le sere, neanche prima lo facevamo. Ma adesso entrambi possiamo guardarci di nuovo negli occhi e, si spera, correre di nuovo l'uno contro l'altro come grandi colleghi».
Dylan Groenevegen tornerà a correre l’8 maggio a Torino: sarà un momento importante per lui, per capire se avrà superato quel trauma psicologico legato al Giro di Polonia quando nella volata con una spallata fece finire Jakobsen contro le transenne.
«Fisicamente sto bene. Adesso posso fare uno sprint e vincere. Ma quando sei stato fuori per così tanto tempo, il problema è molto più profondo. La domanda è: cosa mi accadrà mentalmente? Come reagirò in una gara? Come reagirà il gruppo quando sarò con loro? Non ho queste risposte, al momento».
Dylan aveva anche pensato di abbandonare il ciclismo. Per molte settimana, dopo l’incidente dello scorso anno, non ha più toccato una bici. Poi un poco alla volta è tornato a fare passeggiate e a fermarsi al sole. La voglia di ricominciare a gareggiare è arrivata quando ha seguito la scia del motorino che aveva davanti. Da quel giorno è ripresa la preparazione fisica, mentre il suo percorso psicologico necessita ancora di tempo.
«All’inizio avevo anche difficoltà a guardarmi allo specchio e pensavo senza sosta a quello che era successo. Sentivo solo quel botto, tutto il tempo. Giorno dopo giorno. Ogni suono mi spaventava, anche una porta che si chiudeva».
Lefevere il numero uno della Deceuninck, disse che Groenewegen con quel gomito aveva cercato di uccidere Jakobsen. Ma le cose come andarono veramente?
«Non è stato bello per me sentire quelle accuse, ma dobbiamo accettare il punto di vista degli altri. Cosa è successo in quella volata? In televisione il mio gomito poteva avere un’interpretazione sbagliata, lo so. Ma quando sei a 85 km orari sulla tua bici, tutto cambia, così come alcuni gesti e movimenti arrivano rapidi per mantenere l’equilibrio. Da parte mia non c’era la volontà di far del male, questo deve essere chiaro. Io ho cercato di mantenere l’equilibrio sulla mia linea, ho alzato il gomito per farlo e in quel momento c’era Fabio, sotto il mio gomito».
Dylan probabilmente sarà un velocista diverso, in gennaio è diventato padre di un bambino. Sono stati tanti i momenti difficili legati alla sua paternità, dalla nascita prematura del figlio avvenuta in gennaio, ad un secondo ricovero del piccolo: adesso sembra che tutto proceda per il verso giusto e il velocista olandese può lasciarsi il passato alle spalle e guardare avanti. Ha accettato la sua punizione, ma adesso vuole scoprire al Giro d’Italia che tipo di velocista è diventato.
«La bici è importante, ma ora ho una famiglia a casa che sarà sempre più importante. Allo stesso tempo questo rimane il mio lavoro e voglio farlo di nuovo con piena dedizione. Ho accettato la mia punizione così com'era giusto, perché non sapevamo nemmeno cosa sarebbe successo a Fabio. Spero solo che l'UCI sia più coerente al riguardo e cioé che sanzionino immediatamente quando sono evidenti delle volontà da parte del corridore nel commettere una scorrettezza. Ma chiedo che allo stesso tempo prestino attenzione a diverse cose: non dobbiamo più andare a ottantacinque chilometri l'ora e le transenne devono essere messe per proteggere e non per ferire».