Risulta del tutto indifferente, per chi lo sport lo vive e lo declina con l'esperanto della lealtà, il riferito fastidio di una squadra di calcio - la Juventus - per la 'rimossa' positività al Covid 19 di alcuni calciatori titolari di un'altra formazione - la Lazio -, avversaria di rango, in una gerarchia di Serie A che non interessa ad alcuno, in un contesto sociale e clinico così precario.
Quello che incuriosisce fortemente, e va sottolineato correttamente per il dovere della memoria, è il ritorno in copertina clamoroso nello sport del dibattito e della terminologia 'positivo/negativo' che tanto ci coinvolse, e con più rigorosa oggettività scientifica ed etica forse, nell'epoca della lotta al doping. Positivi vs negativi, e stop all'attività agonistica, al riscontro dei test obbligati, uno per tutti quell’«Io non rischio la salute», promosso dal CONI e della Federciclismo nel '96, che prevedeva il controllo dell'ematocrito degli atleti con un limite max di 50% - è il tempo di Pantani e Berzin -, per fronteggiare quantomeno lo sconsiderato ricorso all'EPO, ultima frontiera (allora) del doping, e limitare i danni cardiovascolari drammatici inclusi in un utilizzo improprio nei giovani sportivi.
E positivi vs negativi ancora oggi, pur di mandare di fretta e furia in campo, o chissà su una bici o su una moto o in una piscina, un atleta ovviamente di rilievo tecnico ed economico, perchè il circo Barnum dei cieli immensi - non i romantici circhi di paese su cui domina il tramonto -, vada avanti, coast to coast. Mercanti senza fiori.
E positivi vs negativi ancora oggi, con Laboratori all'acqua di rosa ed altri con la cartina di tornasole, tutti in buona fede, e medici sociali che
confutano, in nome della eccezionale varietà di un virus, i protocolli disciplinari vigenti delle Commissioni scientifiche nazionali.
E positivi vs negativi ancora e sempre oggi, e in fondo questo solo merita una riflessione su come il peggio popoli sempre il mondo, nel double face infelice di ogni storia intrisa di soldi, dove di ‘sport’ non più parliamo.
Come ben interpretò Nicolas Terrados, quel medico spagnolo della ONCE, una celebre squadra ciclistica spagnola indagata per l'abituale utilizzo dell'EPO, che nel '98 alla domanda dei giudici 'Lei conosce l' EPO ?' rispose candidamente 'No, ne ho sentito parlare solo sui giornali'.