Caro Direttore,
anzi no, questa è una riflessione per dei Cari Amici:
qualcuno, che sapeva ciò che diceva, trovò le parole giuste per rappresentare, qualora umanamente sia possibile, gli stati emotivi e quant'altro di angosciante conseguano ad un dramma che, purtroppo di frequente, fulmina le famiglie: "I padri non dovrebbero mai sopravvivere ai figli!".
Sapere e leggere di come e quanto Carlo Iannelli, collega ed antico "amico di bici", non si dia pace per la perdita del figlio Giovanni nell'ottobre scorso a causa di una caduta nelle fasi finali di una gara dilettantistica, aggiunge al dolore di un "evento... contro natura", come tragicamente lo definisce quella gran penna di Marco Pastonesi, la rabbia per un'impotenza giudiziaria ormai fisiologica a chiarire le responsabilità nell'accadimento. Si badi, non ho scritto le "eventuali" responsabilità per la morte di Giovanni, ma ho dato, e dò, per certa in capo a soggetti ben definibili la non casualità dell'evento che ha poi strappato un giovane alla vita.
Se vogliamo non semplicemente evocare la verità, questa ormai chimerica sconosciuta, ma avere un minimo di decenza, dobbiamo dire chiaramente come stanno le cose nel nostro sgangherato Paese quando si ha a che fare con quella che, ancora e pomposamente, viene definita l'Amministrazione della Giustizia, sia essa in sede civile che - Dio ci scampi - in ambito penale.
Non voglio farla tanto lunga, correndo anche il serio rischio che qualche anima bella se ne abbia a risentire. Per esperienza pluridecennale mi ritrovo sempre più frequentemente ad affermare che i Tribunali non sono fatti per le persone perbene. Altrochè, come ancora ci si sbatte in faccia in qualsiasi aula di giustizia, quell'ideale e magnifico dictum "la legge è uguale per tutti". Relegabile tra le banali cosiddette frasi ad effetto, oltretutto carente dell'ormai indispensabile punto interrogativo finale. Altro, per chi voglia veramente intendere, non credo sia il caso nè valga la pena di aggiungere.
Giovanni Iannelli è morto dopo essersi schiantato contro un "ostacolo" privo delle prevedute e prescritte segnalazioni e protezioni nelle fasi che la mitologia del ciclismo vuole precedano quella che è stata equiparata ad una "coltellata", ovvero la volata. Non ho timori o remore ad affermare che nella... battaglia giudiziaria che è seguita al decesso, deputata ad individuare ed accertare chi o coloro abbiano responsabilità e colpe nell'accaduto e , successivamente, a statuirne l'entità ed il grado, ci sarà di certo un'accesa bagarre e, poco ma sicuro, anche uno... sprint non "pulito". L'auspicio sarebbe che le Istituzioni del Ciclismo fossero là davanti a tirare la volata al papà di Giovanni. Mi accontenterei se, almeno, non ne ostacolassero l'azione, volta unicamente al raggiungimento dell'ambito e legittimo traguardo: "Giustizia per Giovanni".
Cordialmente
Fiorenzo Alessi