Da zero a mille con uno schiocco di dita: prima il ciclismo femminile era l’anello debole di un mondo in apnea, è diventato il settore del rilancio. La Roubaix subito, il Tour de France allo studio: doveva essere pronto per il 2021, probabilmente slitterà di un anno. Intanto sono già partite le polemiche sul percorso (mai abbastanza duro per chi guarda) e sui premi (scandalosamente inferiori quelli delle donne: uno a venti, in uno sport dove i premi peraltro sono un dettaglio, e in genere servono come argent de poche per gli uomini dello staff). Ma il segnale - in una stagione devastata dalla pandemia - è chiaro: l’UCI punta sul ciclismo femminile. Da almeno tre anni si sta lavorando sulle garanzie contrattuali riconoscendo alle atlete lo status di professioniste. Alessandra Cappellotto è stata la prima italiana a diventare campionessa del mondo di ciclismo, nel 1997. Oggi è la vicepresidente dell’Accpi, l’associazione corridori: è la sindacalista del gruppo. E da questa posizione ha visto riconosciuta una parità sostanziale: anche le donne avranno la Roubaix. «Sono contenta, del segnale e del calendario. Ma continuo a tenere le dita incrociate: siamo nella commissione che sta approntando il protocollo medico, stiamo cercando di capire cosa si deve e cosa si può fare. Diciamo che quest’anno bisognerà prendere quello che arriverà».
Intanto parlare di Roubaix e di Tour de France sembra un sogno. «Passi avanti giganti. Quattro anni fa a Parigi Aso aveva escluso decisamente un Tour femminile, pensava piuttosto a un Delfinato. Invece ecco la sorpresa, una notizia bellissima». La strada è ancora lunga. «Soprattutto in Italia: le donne hanno a che fare con un mondo pensato per i maschi, in tutti i settori. Però stiamo facendo tutto il possibile per venirne fuori. Il paradosso è che adesso tutte le ragazze si sono messe a seguire il calcio: non ne avevano mai parlato, adesso leggono tutto. Se il calcio parte, non ci ferma più nessuno, gli andremo dietro. Altrimenti sarà difficile per tutti».
Un calendario c’è, ma c’è anche la pandemia. «L’anno può ancora saltare, bisogna essere uniti, tutti, anche gli organizzatori. Il ciclismo è business, ogni squadra World Tour è un’azienda: se tiene chiuso per otto mesi, o un anno, è una sofferenza totale. Sarebbe un disastro. Ma in proporzione soffrirebbero di più le grandi squadre. L’ossatura del ciclismo femminile sono le Continental: un patrimonio incredibile, persone che vivono di ciclismo, che hanno una passione infinita, che si arrampicano con le unghie. Ci salveranno loro».
dal Corriere dello Sport-Stadio