Il coronavirus ha fermato il grande ciclismo e tutti gli altri sport. Cancellate ufficialmente tutte le classiche previste nel mese di aprile. Per sabato prossimo invece era in programma la Milano-Sanremo, la Classicissima di Primavera che solitamente apre la stagione delle grandi classiche, una finestra sulla stagione, un anelito di speranza per tutti.
«È sempre la più bella, perché ci vengono a correrla tutti i big, con la voglia di spaccare tutto, come a un Mondiale» dice Michele Dancelli, classe 1942, che mezzo secolo fa - il 19 marzo del 1970 - irruppe nella storia conquistando la Classicissima dopo 17 anni e 16 edizioni di dominio straniero.
Prima di lui l'ultimo italiano a trionfare nella Città del Festival della Canzone era stato Loretto Petrucci nel 1953, poi solo corridori provenienti dall'estero, per metà belgi, tanto che patron Vincenzo Torriani nel 1960 decise di introdurre la salita del Poggio nel finale della corsa per mischiare un po' le carte. Dancelli quel giorno di 50 anni fa fu un avventuriero romantico e visionario. Andò in fuga a 200 km dalla fine con gente tosta come Van Looy, De Vlaeminck, Godefrot, Zilioli, Bitossi, ma non Merckx, che pure ne aveva vinte 3 delle ultime 4, né Gimondi o Motta, che non credettero a quell'attacco. Mal gliene incolse, perché Michelino a Loano, 70 km dalla fine, volò via da solo nel vento favorevole della riviera ligure e non fu più ripreso. «Sono felice in particolare per chi non mi ha mai calcolato campione» avrebbe detto poi in tv dopo il traguardo, con una frase passata alla storia.
Ma come era riuscito, il piccolo Dancelli con la gloriosa maglia della Molteni, a portare a termine quella piccola follia?
«Ero giovane, non avevo ancora 28 anni. Eravamo andati in fuga dopo meno di cento km, eppure ben prima dei Capi sulla Riviera Ligure decisi di andarmene da solo. A me piaceva correre d’istinto, oggi non va più di moda. Non pensavo neanche io di farcela. La salita della Cipressa non c'era ancora (sarebbe stata introdotta solo nel 1982, ndr), quando arrivai sul Poggio con 2’ di vantaggio cominciai a farci un pensierino. Così mi buttai come un matto nella discesa verso Sanremo. E andò bene».
La sua più grande impresa in carriera.
«Credo di sì, anche se andai ancora più forte al Giro dell'Appennino, che ho vinto tre volte. Poi ho conquistato la Freccia Vallone, l'Emilia, il Veneto, il Lazio, la Parigi-Lussemburgo, il Campania, l'Abruzzo, più due terzi posti al Mondiale. Non male, no?».
Ma perché la Sanremo in quegli anni era sfuggita agli italiani per ben 16 stagioni consecutive?
«I migliori dei nostri, come Adorni, Motta, Gimondi, Bitossi, Zilioli, spesso si facevano la guerra. E fra gli stranieri c’erano grandi corridori come Van Steenbergen, Poblet, Van Looy, Poulidor, Simpson e naturalmente Merckx».
Il Cannibale belga di Sanremo ne avrebbe vinte ben 7, record assoluto.
«Mi spiace per Coppi, ma il più grande di sempre è stato lui, Eddy. Chi non lo ha affrontato sulla strada non può capire».
Dancelli, invece, dopo quella Sanremo non seppe ripetersi: perché?
«L’anno successivo alla Tirreno-Adriatico mi fratturai un femore, ma arrivai lo stesso al traguardo facendo anche una salita. Solo dopo scoprirono che mi ero rotto la gamba e così mi operarono, ma non fui mai più lo stesso».
Ciclismo d'antan: migliore o peggiore di quello attuale?
«A me piaceva di più il mio ciclismo. Una volta andavano in fuga da lontano i capitani, adesso ci vanno i gregari per farsi notare un po', tanto poi vengono ripresi. La Sanremo oggi non si vince più partendo da lontano, tutti hanno paura, c'è meno fantasia e meno cuore nell'affrontare le corse. E dominano le squadre più forti, che bloccano la corsa e non fanno andar via nessuno che conti. Così le corse spesso diventano noiose. Una volta vinceva il singolo, oggi senza la squadra non vai da nessuna parte».
In una cosa almeno il ciclismo moderno sembra migliorato: la lotta al doping. Com'era ai tempi di Dancelli?
«Il problema c’è sempre stato, ma allora si usavano cose meno sofisticate, come le anfetamine. Ricordo che il primo controllo me lo fecero nel 1967 a Peccioli, dopo che avevo battuto Bitossi».
Fu l'anno della tragica morte in corsa al Tour de France di Tom Simpson, vittima del caldo e di un cocktail di sostanze eccitanti. Dancelli non fu mai tentato dalla "bomba" di cui aveva parlato anche Coppi?
«Una volta ci provai, ma mi fece così male che lasciai perdere. C’era però chi la usava, eccome. E infatti io vinsi anche di più dopo l’introduzione dell’antidoping».
Oggi come sono i controlli contro il doping?
«I test sono molto accurati, è difficile farla franca, eppure c’è ancora chi ci prova. E qualche dubbio rimane».
Vicino ormai agli 80 anni, Dancelli ogni tanto fa ancora qualche pedalata.
«Sì ma sempre meno e solo sulle piste ciclabili. In strada ho smesso tre anni fa, troppo pericoloso. Ogni tanto esco in bici con Boifava, che abita vicino a me nel Bresciano ed era mio compagno di squadra alla Molteni anche in quella Sanremo. E poi vedo ancora Poggiali e Bitossi, è bello parlare insieme dei nostri tempi».
Chi fra i corridori di oggi assomiglia di più al Dancelli di allora?
«Dico Alaphilippe, il francese, che infatti mi piace molto. Poi apprezzo Sagan, almeno sa inventare e non ha mai paura. Degli italiani ammiro Bettiol, che nel Fiandre dell'anno scorso fece davvero un numero, e Colbrelli, che è delle mie parti».
E Nibali? Per Dancelli riuscirà a fare altri exploit, come due anni fa proprio alla Sanremo?
«Credo che vincerà ancora, ma non è più quello di qualche stagione fa, gli anni pesano anche per lui. Però ha cuore, fantasia, coraggio, non sono in tanti come lui nel gruppo».
Intanto tutti sperano di poter tornare presto alle corse. Si riuscirà davvero a recuperare questa Sanremo rinviata per il coronavirus?
«Spero di sì, anche se spostandola in autunno diventerà tutta un'altra corsa. Ma è sempre la Sanremo, una classica unica e meravigliosa. Per me fu un'impresa straordinaria, che però non mi ha cambiato la vita. Sono sempre lo stesso. Mi piace la mattina andare al bar con gli amici a prendere il caffè e chiacchierare. Poi torno a casa e nel pomeriggio guardo la tv, magari le corse di ciclismo, certo, ma anche le moto, l'atletica e lo sci. Lo sport mi è sempre piaciuto e me ne accorgo ancora di più adesso che questo virus ha bloccato tutto. Vedrete però che presto anche il ciclismo ripartirà. E io aspetto già la prossima Sanremo».
da La Stampa