Steve Jobs non aveva ancora trent’anni e da pochi mesi aveva inaugurato l’era del Mac, cambiando il mondo e la nostra vita di tutti i giorni. Nel novembre di quell’anno, il 1984, a Messina venne al mondo un bambino destinato a scrivere un altro pezzo di storia. Quella dello sport, il suo sport. Lo chiamarono Vincenzo, come il nonno che anni prima era emigrato in Australia per campare. Nei nomi spesso c’è il nostro destino: sedici anni dopo, nel nuovo secolo, quel bambino fu costretto a emigrare in Toscana per inseguire la sua idea di diventare un corridore in bicicletta. Nel 2005 diventò un professionista. In questi quattordici ha vinto quattri grandi giri (una Vuelta, due volte il Giro d’Italia, un Tour de France), due Lombardia, una Milano-Sanremo, due campionati italiani, due Tirreno-Adriatico. Una vita dopo, a trentaquattro anni, gli obiettivi della sua stagione sono Giro d’Italia e Tour de France. Ma forse sarebbe meglio definirli programmi, come vedremo.
Vincenzo Nibali, sono passati tanti anni. E’ stato tutto troppo veloce?
«No, perché? Siamo andati alla velocità giusta. E siamo ancora qua, come direbbe Sagan».
Non hai mai voglia di fermare il tempo?
«Fermarlo no. Però tornare indietro per evitare qualche sbaglio, quello sì».
Per esempio?
«La cadute. Ti lasciano i segni».
Adesso hai paura?
«No, parlo delle cicatrici. Mi dà fastidio quando me le vedo addosso».
Nessuna paura?
«Dipende».
E’ normale: dopo quello che è successo all’Alpe d’Huez, non te la senti di correre in mezzo ai tifosi.
«Quello è il meno. E’ più brutto correre in mezzo al gruppo a 70 all’ora».
Michael Antonelli, un ragazzo della Nibali Mastromarco, è gravissimo dopo una caduta in corsa. Samuele Manfredi è stato investito in allenamento.
«Queste sono le cose che cambierei se potessi tornare indietro, le cose che ti segnano. Rivorrei indietro Michele Scarponi».
Cos’altro ti ha tolto il ciclismo?
«Intanto mi ha tolto dalla strada. In Sicilia di lavoro ce n’è poco, quello che c’è sono tutte botteghe di famiglia, le ditte sono poche, le trovi da Roma in su. In Sicilia trovi un lavoro decente se hai una famiglia abbastanza forte, altrimenti rischi di fare una brutta fine. Per questo dico che il ciclismo mi ha tolto di strada. Mi ha tolto magari dalle discoteche, da certe amicizie sbagliate. Non che nel ciclismo non ne potessi trovare, ma quelle ci ha pensato il ciclismo stesso a toglierle di torno, nel vero senso della parola. Mi ha dato tanto successo, gloria, soddisfazione, a me e alla mia famiglia. Mi ha tolto sicuramente una parte di gioventù ma se guardo a tutto quello che ho capisco che è stato soltanto un passaggio».
Non avevi un piano B?
«No. Anzi sì, ma non mi piaceva. Sarei andato a lavorare con i miei, in fondo la fotografia mi piace, la cinetecnica pure. Però ero sempre in conflitto, litigavo con mio padre, i nostri sono due caratteri che andavano sempre in contrasto».
Tu sei emigrato per correre. In questo momento in Italia i migranti sono un problema.
«Non ho le competenze per parlare, ma penso che l’Europa ci debba venire un po’ incontro».
Sei diventato quello che volevi?
«Direi di sì».
Giorno di riposo, e ci sono le interviste.
«Ormai ci ho fatto l’abitudine, so che ho anche questo ruolo nel ciclismo».
Pensi mai che un giorno tutto questo potrebbe mancarti?
«Chi lo ha detto che mi mancherà? Magari ci sarà ancora».
Un giorno di riposo vero com’è?
«Divano, copertina, tivù, Emma che gioca con me. Non si stanca mai, le piace quando la lancio in aria. Ancora non sa leggere, ma comincia a contare, a conoscere i numeri. Quando mi ha distrutto, la metto a letto e si spegne di colpo».
E quando Emma dorme?
«Gioco anche da solo. Sono fissato con il modellismo, ma capita sempre più di rado. Mi piacciono i radiocomandi, le macchine, prima usavo quelle a scoppio, adesso quelle a batteria. Se c’è mia moglie guardiamo un film. Tutti i generi, anche horror, se capita. Altrimenti monto e smonto qualcosa in casa. Ho smontato anche l’Iphone».
Ma allora è vero?
«Sono sempre stato così, anche da piccolo. Ho scoperto che in Svizzera si sono inventati il marito in affitto: sei sola in casa e non sai come aggiustare qualcosa? Lo affitti, e viene a ripararti tutto. Io lo saprei fare».
Un uomo da sposare.
«Già sposato».
Emma vi chiede mai un fratellino?
«Lei no. Io avrei voluto tre figli, o almeno una via di mezzo. E’ Rachele che non si convince».
Potresti restare disconnesso? Niente portatile, niente social, niente telefono.
«Penso di sì, non credo che avrei problemi. Ma non vedo perché: rimanere connessi, almeno con le persone che ami, è più comodo».
Mentre stai facendo la storia, te ne rendi conto?
«No. Io faccio tutto con leggerezza. Se pensi che stai facendo la storia diventa tutto più pesante. Diventa un lavoro, non un divertimento».
Avresti fatto il corridore anche da gregario?
«Perché no? Lo fanno in tanti, non ci trovo niente di disdicevole. A me piace andare in bicicletta».
Sky che lascia è una notizia brutta o bella?
«E’ uno sponsor che lascia il ciclismo. Altri ne arrivano».
In Italia non abbiamo più squadre.
«Ma abbiamo un ciclismo».
E in Sicilia?
«In qualche modo si sta cercando di farlo rinascere. Molto dipende dai soldi, è evidente. Fino a qualche anno fa da noi si parlava anche di gare fantasma».
Quanto pensi al tuo futuro?
«Il mio futuro sono le prossime corse, e in fondo vedo il Giro d’Italia».
Però hai incontrato la Trek.
«Se uno sponsor italiano come Segrafredo ha interesse a investire in un corridore italiano, posso non ascoltarlo? Le cose cambiano, anche qui alla Bahrain Merida: con l’ingresso di McLaren non sarà tutto esattamente come prima. Vedremo».
Scegli un capolavoro fra tanti che hai fatto?
«Il Giro del 2016. L’ho rovesciato in due giorni. Sembravo spacciato, era difficile da credere».
E la Sanremo?
«E’ venuta così, quasi per caso».
Non hai avuto paura che ti prendessero?
«Pensavo che potesse succedere, ma non ho mai avuto paura. Forse è per questo che non mi hanno preso».
Farà Giro e Tour: la doppietta è possibile?
«Sarei cauto su questo. Si può competere, questo sì. Ma partire per vincerli entrambi mi sembra esagerato, non mi voglio stressare con questa storia. Non ho mai detto di voler tentare la doppietta, ci hanno provato in tanti ma non ci sono riusciti. Parto concentrato sul Giro poi tirerò una linea e vedrò. Diciamo che il Giro l’ho voluto fare io, il Tour era una richiesta della squadra: siamo arrivati a un giusto compromesso. Ho la maturità per provare a farlo, ma la vedo dura».
Il Giro è una scelta tua.
«E’ una corsa che mi piace tantissimo, l’anno scorso l’ho saltato e quest’anno da italiano mi sentivo di tornare. Il percorso è bello, anche se manca il sud».
Dopo tanti anni, correre è ancora un divertimento per te?
«Mi diverto, mi piace. Il gusto della competizione è ancora quello di un ragazzino».
Alla tua età è ancora possibile pensare di migliorare?
«E’ difficile. La sfida è cercare di mantenere un livello alto».
Qualcuno ti paragona a Gimondi. Il tuo allenatore Slongo mi ha appena confessato che a volte, quando ti segue in macchina, vede l’eleganza di Coppi.
«Forse sì. Ma in tanti mi dicono che assomiglio di più a Bartali. Come carattere, sai, quella storia che non mi va mai bene niente».
da Il Corriere dello Sport