C’è Antonio Maspes. Milanese della Certosa di Garegnano, anche se nato a Cesano Boscone. E a Milano, nel Vigorelli, che poi gli sarebbe stato intitolato, conquistò due dei sette titoli mondiali nella velocità. E un bronzo olimpico nel tandem: Helsinki, 1952.
C’è Marino Vigna. Milanese di piazzale Accursio, pistard e stradista, gentiluomo dei pedali da professionista, direttore sportivo, commissario tecnico e ancora adesso, da ambasciatore del ciclismo. E campione olimpico nell’inseguimento a squadre su pista: Roma, 1960.
C’è Gianni Brera. Milanese di via Cesariano (lui, lombardo della Bassa, di San Zenone al Po) per adozione, tra quotidiani (dalla “Gazzetta dello Sport” al “Giorno” e alla “Repubblica”) e periodici (“il Guerin sportivo”), tra templi dello sport (dall’Arena a San Siro) e della gastronomia (“l’Assassino” era il suo ristorante-rifugio), campione di giornalismo ma anche di letteratura. Anche alle Olimpiadi.
E c’è Candido Cannavò. Milanese della zona Fiera Campionaria come casa, di via Solferino come missione, primatista di anni alla “Gazzetta dello Sport”, il direttore per eccellenza, per competenza, per passione, per umanità. E con una speciale ispirazione per il ciclismo e il suo popolo. Le Olimpiadi erano la sua Disneyland.
“70 anni di sport a Milano” è una quadrata opera del Panathlon Club Milano per festeggiare il suo compleanno del 2022: un libro curato da Sergio Giuntini, con contributi – fra gli altri – di Alberto Cerruti e Sergio Meda (256 pagine, 30 euro), in cui il ciclismo rivendica i suoi diritti storici e geografici, e che mi è stato regalato da Filippo Grassia, presidente della sezione milanese. Qui Milano comincia proprio dal Vigorelli, formalmente inaugurato il 28 ottobre 1934, il giorno che commemorava la Marcia su Roma e con una riunione ciclistica il 23 marzo 1935, vinta nella prova di velocità dal tedesco ebreo Albert Richter, che sarebbe stato assassinato dai nazisti, ed esaltata dalla sfida a coppie tra Guerra-Olmo e Kaers-Van Neveles. Quei listelli di pino, che avevano reso la pista scorrevolissima, tanto da accompagnare i record dell’ora, dallo stesso Olmo a Fausto Coppi, e poi ancora Jacques Anquetil, Ercole Baldini e Roger Rivière.
Nel libro del Panathlon c’è ancora ciclismo con la foto borraccia, quella scambiata fra Bartali e Coppi, immagine simbolica dello sport; in un’altra fotografia, quella che ritrae tre giganti del giornalismo impegnati in un “Processo alla tappa”, Brera, Sergio Zavoli e Bruno Raschi; nella bicicletta cavalcata da Michele Didoni, milanese campione del mondo di marcia e poi allenatore; in un’altra bicicletta, usata da una donna milanese, con la mascherina, in piazza del Duomo durante la pandemia del Covid-19; e con Ernesto Colnago premiato proprio dal Panathlon nel 2021 per la sua straordinaria attività da meccanico a industriale, da artigiano ad artista della bicicletta. Un’opera olimpica, anzi, olimpionica.