Ernesto Colnago sta al ciclismo come Gianni Agnelli stava al calcio. Vivendo un paio d’ore (oltre che di un paio di decenni) prima del gruppo, le loro telefonate rischiano (e rischiavano) di ribaltarti dal letto già poco dopo l’alba. Invecchiando anche lui (eh sì: 92 anni e quasi mezzo), Ernesto Colnago ha imparato a disciplinarsi fino a trattenersi dal chiamare prima delle otto, quando ha già letto i giornali, sbirciato i siti, preso un caffè e magari pedalato sulla cyclette per sgranchirsi da quello che noi definiremmo pisolino e lui allunga benevolmente a notte. (Comunque confesso che, a qualsiasi ora, in qualsiasi momento, quando lo schermo del telefono s’illumina e appare nome e cognome Ernesto Colnago, raggiungo un picco di orgoglio e un vertice di soddisfazione, come se ricevessi un piccolo premio Pulitzer).
Ci teneva a precisare due sue intuizioni, Colnago, trascurate dal nostro libro “Il Maestro e la bicicletta” (66thand2nd). La prima: nel 1960, meccanico alla Philco, prima del Giro di Lombardia, un percorso già duro ma incarognito dal debutto del Muro di Sormano, Ernesto aggiunse al pignone del belga Emile Daems un 28 (si era ancorati al 24 come a un dogma), e Daems vinse. La seconda: nel 1970, meccanico alla Faemino, Ernesto sostituì il 42 con un 41 nelle corone (l’altra era il 52, e anche qui sembrava trattarsi di un dovere assoluto, di numeri eterni, di rapporti imprescindibili) per due biciclette destinate a Eddy Merckx e una a Italo Zilioli. Colnago mi confida che, la mattina successiva, il suo amico Tullio Campagnolo, venuto a conoscenza della novità, invece di protestare per l’invasione in un ambito di sua competenza, gli domandò, sorpreso, incuriosito, perfino ansioso, come avesse fatto. (Se ci sarà una nuova edizione - il libro pare esaurito -, aggiungeremo il pignone a 28 denti e la corona a 41. Promesso).
Già che c’ero, ho promesso a Colnago di mostrargli una fotografia emersa dal passato. Ernesto a capotavola, rivenditori e concessionari intorno a lui. Perché prima Colnago li incontrava per riflettere, programmare e puntare, poi, mangiando e bevendo insieme, gli raccontava la vita. Ed era lì che si stringeva un legame, che nasceva la squadra. (L’archivio da cui, scavando e scartabellando, è emersa la fotografia è quello di Alberto Bergamino, il primo da sinistra. E domani, sempre qui, su Tuttobiciweb, scriverò di lui).