E’ successo un paio di settimane fa. Se n’è andato con la stessa eleganza, stile, leggerezza delle biciclette che scovava, restaurava, collezionava e, talvolta, esponeva. Giuseppe Genazzini, Beppe, era un signore, un architetto e, nel nostro mondo rotondo, un collezionista.
Milanese, studio in corso Sempione, da lì una strepitosa vista aeronautica che spaziava dal parco alle montagne, Genazzini faceva parte del nucleo storico di Ciclobby, associazione di ciclisti urbani nelle strade e nei modi, che a Milano negli anni Settanta predicavano piste ciclabili e traffico limitato, velocità ridotte e caschi obbligatori, bici più treno e aria meno inquinata, pedalate festose e pedalate protestanti, perfino poesie e disegni illuminati dalle biciclette. E quando si voleva frugare nella memoria, ecco Beppe con le sue opere meccaniche. Se Luigi Riccardi, Gigi, un altro architetto, conduceva le battaglie civili, Beppe lo accompagnava con quelle artistiche.
Erano (anche, soprattutto, e chissà se forse lo saranno ancora) di Beppe Genazzini le biciclette “ritrovate” che Cicli Rossignoli esibiva in una mostra nel cortile di corso Garibaldi in aprile durante il Salone del mobile (e che cosa c’è di più mobile – e anche nobile - di una bicicletta?). Ogni bicicletta raccontava una storia: la sua storia. Come quella Torpado del 1987, che Beppe, nel 2010, in un lotto di 30 bici messe all’asta dal Comune di Milano, riconobbe e salvò, era un autentico cimelio, primo esemplare di quello che sarebbe stato definito “bike sharing”, un sistema di noleggio proposto dall’allora sindaco Paolo Pillitteri. Tant’è che quella bici gialla, come riportato da un’etichetta semplice e definitiva, venne “offerta, usata, rubata, sequestrata, messa all’asta, acquistata e restaurata”.
Se da comparsa al Teatro alla Scala rimase incantato da Maria Callas e folgorato da Grace Kelly, da archtietto e da ciclista e da archiciclista Beppe Genazzini si è poi innamorato e appassionato di draisine e bicicli, modelli da passeggio e da competizioni, per militari e pompieri, e tutto quello che vi ruotava attorno, dalle cartoline ai manifesti, dalle canzoni alle rappresentazioni. A gentile richiesta, scriveva saggi (c’è anche lui fra gli autori di “L’Uomo a due Ruote”, Electa, del 1987, a cura di Guido Vergani), prestava pezzi (non solo a Rossignoli), offriva moderazioni (a convegni e riunioni della Fiab), regalava presenza (in occasione di libri e mostre). E così ci mancherà. E come.