Sei anni dopo gli arresti, le perquisizioni e il clamore dell'inchiesta antidping che ha scosso il ciclismo lucchese, arriva il momento del giudizio: prima udienza davanti al secondo collegio il 6 giugno. Dodici rinvii a giudizio, un patteggiamento avvenuto in una precedente udienza, tre proscioglimenti con la formula del non luogo a procedere per non aver commesso il fattoè l’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta venerdì mattina davanti al gup Alessandro Dal Torrione per la vicenda del doping nel ciclismo amatoriale che nel febbraio 2018 portò a sei arresti con numerosi indagati in un’inchiesta della polizia coordinata dal sostituto procuratore Salvatore Giannino.
Un’indagine partita dalla morte del ciclista lituano Linas Rumsas, figlio dell'ex professionista Raimundas Rumsas, a soli 21 anni, nel maggio 2017. L’accusa contestata era quella dell’associazione a delinquere «finalizzata a commettere delitti in materia di doping così da alterare le prestazioni agonistiche».
Luca Franceschi, 46 anni, di San Vito, presidente all’epoca dei fatti della Gran Fondo del Diavolo, ha patteggiato in altra udienza 2 anni con la sospensione (difensore Max Giordano Marescalchi).
Dodici a giudizio, tra i quali i genitori di Franceschi, Narciso, 79 anni e Maria Luisa Luciani, 76 (difensore Muriel Petrucci).
Due posizioni sono ritornate in Procura per difetti nell’avviso di chiusura delle indagini (un farmacista e un cicloamatore); tre prosciolti tra i quali il dottor Daniele Tarsi, medico grossetano, l’ex dirigente sportivo lucchese Andrea Del Nista e il ciclista Lido Del Carlo. «Tarsi non aveva nulla a che fare con questa morte, sia chiaro – ha precisa il suo difensore Paolo Viviani ai giornalisti de Il Tirreno – . A lui era stato contestato il concorso nella commissione del reato previsto e punito dall’articolo 586 bis, “Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Secondo il capo di imputazione che lo riguardava, in qualità di medico avrebbe guidato l’assunzione delle sostanze come un vero e proprio mentore nella pratica del doping. Avrebbe avuto insomma un ruolo importante. Nulla di tutto questo, e l’abbiamo dimostrato».
Secondo gli inquirenti, Luca Franceschi reclutava i ciclisti più promettenti, li avvicinava al doping e procurava loro le sostanze vietate tra cui Epo, ormoni per la crescita e antidolorifici a base di oppiacei. I suoi genitori erano, invece, i proprietari dell’abitazione messa a disposizione degli atleti dove sarebbe avvenuta la somministrazione delle sostanze dopanti. Il direttore sportivo della Altopack, Elso Frediani (deceduto, ndr) era considerato dagli investigatori conoscitore delle metodologie del doping: nella preparazione atletica dei ciclisti, si sarebbe preoccupato di assicurare loro le necessarie consulenze, anche mediche, per una corretta somministrazione delle sostanze proibite tale da eludere i controlli in gara.
Ricordiamo che per quanto di sua competenza la giustizia sportiva era già intervenuta con mano pesante nel 2020.