Mondiali italianissimi e venetissimi quelli gravel organizzati da Massimo Panighel nella marca trevigiana un mese e mezzo fa. Soprattutto a livello Master. Se tra le corse Elite maschile e femminile i colori azzurri hanno visto il secondo posto di Silvia Persico dietro Kasia Niewiadoma, nelle categorie amatoriali si sono registrate le vittorie di tre uomini e due donne: Pierluigi Talamona, Pietro Dutto e Marcello Pavarin; Nadia Sgarbossa e Patrizia Romanello. Di queste cinque medaglie d'oro, una era particolarmente "di casa": quello della Romanello tra le Over 50.
Patrizia, infatti, è di Vittorio Veneto: venti chilometri dall'arrivo di Pieve di Soligo. Erano invece 93 i chilometri di percorso, con tanto di muri di Cà del Poggio e Collagù, che lei ha macinato a una velocità media di 26 km/h in sella alla sua Giant con ruote in carbonio Torpado. Un ritmo che le ha permesso di precedere per abissale distacco l'americana Amy Phillips e l'olandese Judith Van Maanen: a tre chilometri dal traguardo si è resa conto di aver fatto il vuoto dietro di sé e si è goduta il trionfo!
Partiamo dal principio: come ha iniziato a correre in bici?
«Accadde una ventina d'anni fa, per gioco: volevo tenermi in forma con lo sport e iniziai ad allenarmi con la prima bici che mi capitò. Ben presto trovai un gruppo di persone con cui uscire e dicevano che andavo forte, m'incoraggiarono a iscrivermi a una squadra. Entrai così nella Eurovelo di Vittorio Veneto, poi nel team Salvador di Sacile e nella Fondriest Factory. Infine con mio marito Carlo Brenelli, che va in bici pure lui, ci siamo immersi nella mountain bike e nel 2013 siamo entrati nella Torpado: non è stato facile approcciarmi in modo serio alla MTB, mi ci sono voluti anni per prendere confidenza col mezzo e coi vari tipi di terreno e condizioni meteo. Ma alla fine ci ho preso gusto!»
Un percorso che l'ha portata a una corsa da sogno...
«Negli anni ho cambiato diversi preparatori: via via che sentivo di poter dare di più, cambiavo preparatore per provare a salire di livello. Ho corso e vinto tanto sia su strada che fuori, addirittura quest'anno ho collezionato quasi solo podi, fino al clou internazionale: nella mia categoria 50-54 sono arrivata nona ai Mondiali Gran Fondo in Scozia (vinti dalla Phillips) e ho conquistato l'Europeo Marathon in Francia. Ho pensato "sono in forma e avrò il Mondiale gravel alla porta di casa" allora ho provato a qualificarmi, disputando il 2 settembre la Monsterrato con una bici in prestito, e ci sono riuscita. Mi sono preparata intensamente per un mese col preparatore Paolo Tedeschi e il mio storico nutrizionista Daniele Modolo, partecipando anche a una gara gravel nella zona di Belluno che prevedeva sentieri di montagna, e mi sono presentata all'appuntamento iridato al top della condizione. Oltre a ciò, penso che in questo trionfo gravel abbia fatto la differenza l'abilità nel pilotare le mountain bike.»
Ritiene quindi che, tra stradisti e biker, questi ultimi siano avvantaggiati nel gravel?
«Assolutamente sì, non hai paura di scivolare e sai quando mollare i freni o lasciar andare la bicicletta. Su classici percorsi piatti ancora ancora, ma quando si affrontano pezzi tecnici quella confidenza è fondamentale.»
Le piace questa "esplosione" del gravel?
«Eccome! Ero un po' diffidente all'inizio, perché pensavo "o è bianco o è nero, cos'è questo ibrido?" e invece me ne sono proprio innamorata: è la perfetta via di mezzo tra tecnica e velocità.»
L'anno prossimo nelle Fiandre difenderà la maglia iridata?
«Sì, peraltro vorrei andare a fare qualche gara in Belgio nei mesi precedenti così da rendermi bene conto del contesto. Non vedo l'ora di vivere la passione che hanno da quelle parti e provare a sentirmi come le grandi campionesse di questo sport.»
A proposito, chi sono i suoi idoli?
«Su tutti Annemiek Van Vleuten, che ho incontrato spesso a Livigno ed è davvero una bella persona. Tra le bikers direi le due più vincenti ai Mondiali di cross country: Gunn-Rita Dahle (oggi cinquantenne come me) e Pauline Ferrand-Prevot. Al di là dei risultati, queste atlete mi trasmettono forza già solo a osservare i loro sguardi, i loro modi di correre e di comportarsi in generale: è difficile da spiegare, ma è come se intuissi la grinta e la chiarezza di obiettivi che hanno in testa, e provo a replicarle e perseguirle nelle mie competizioni. Entro in me stessa senza guardare le avversarie, mi estraneo da ansia ed emozioni. È qualcosa che si acquisisce col tempo.»
Quanto differisce la sua preparazione da quella di una professionista?
«Vi dirò, non così tanto. Abbino palestra e bici, arrivando fino a sei allenamenti alla settimana. Al mattino riesco a ritagliarmi un'ora e mezza di palestra prima di entrare alle 9 al lavoro. Un tipico problema degli amatori è la gestione dei tempi di recupero: è una fortuna che anche mio marito corra in bici, in tal modo abbiamo gli stessi ritmi, ci capiamo e siamo complici nel condividere e portare avanti insieme le giuste abitudini a livello di alimentazione e bioritmi. Quando si è sotto stress in certi momenti "si sbarella" e a volte stacco un paio di giorni dalla bici. Quando ringrazio il mio preparatore, lui mi dice di ringraziare me stessa per la testa che ho.»
Chi è Patrizia Romanello quando non gareggia su sterrati e asfalti tra le Master?
«Gli altri mi definiscono una persona che a volte "si nasconde" troppo e non mette in evidenza all'esterno certe qualità. Io posso dirvi che con Carlo abbiamo due autoscuole e uno studio peritale d'infortunistica stradale, niente figli e tanti gatti.»
Quindi siete sia ciclisti che formatori di automobilisti! Come vivete la questione della sicurezza stradale?
«Con forte preoccupazione. Già negli allievi in autoscuola notiamo distrazione e superficialità: spesso nei congressi cui partecipiamo a Roma emerge che, quando si parla di questi temi nelle scuole, i ragazzi sembrano assorbire bene i concetti ma una volta fuori entrano in un'altra dimensione mentale...»
Nelle annose (e talvolta tragiche) diatribe tra automobilisti e ciclisti, da che parte state?
«Esattamente nel mezzo. Tante persone che guidano la macchina si sentono così sicure dentro il loro involucro da permettersi persino di sfiorare i ciclisti. Di contro, serpeggia una certa ignoranza del codice della strada pure tra noi che andiamo in bici: mi è capitato di essere insultata quando ho detto a gruppi di ciclisti di stare più a destra.»
Come ci diceva nientemeno che Filippo Ganna di questi tempi lo scorso anno, del resto, in Italia a mancare è probabilmente il rispetto reciproco tra gli utenti della strada. Nel Belpaese degli orticelli e del campanile, scadere nella lotta tra fazioni anziché deporre le armi e rincorrere comuni obiettivi è sempre molto facile.
Spicciole considerazioni a parte, auguriamo a Patrizia e Carlo tanta altra complicità coniugal-ciclistica e buon 2024 italo-belga alla campionessa mondiale gravel Master di Vittorio Veneto!