“Oggi, mosso unicamente dalla curiosità di vedere un luogo famoso per la sua altezza, ho scalato il monte più alto di questa regione, che non a torto chiamano ‘Ventoso’”. Il Ventoux.
Era il 26 aprile 1336 quando Francesco Petrarca salì sul Ventoux da Malaucène con il fratello Gherardo e due portatori. La sera, sano salvo e stanco, scrisse quel testo – “Familiarum rerum, libri IV, 1” – che allora si rivelò il primo resoconto alpinistico e che dal 1951, ogni volta che il Tour de France si arrampica su quel cono spazzato dal maestrale, viene ricordato e citato come se fosse sacro.
Ho estratto il libriccino (scritto in latino, tradotto - a fronte – in italiano, pubblicato da Tararà Editori nel 1996, con la prefazione di Andrea Zanzotto, la traduzione di Maura Formica, il commento e le note di Maura Formica e Michael Jacob) da una pila cartacea su un book crossing prodigo di chicche letterarie e ho finalmente studiato questa lettera che Petrarca scrisse a Dionigi di Borgo di San Sepolcro e consegnò alla storia.
La cronaca – non me lo sarei mai aspettato – è molto divertente. A cominciare dalla ricerca di un compagno d’avventura: “L’uno era troppo addormentato, l’altro troppo desto, questi troppo lento, quello troppo veloce; uno troppo mesto, un altro troppo allegro, e questo troppo imprudente, quell’altro più avveduto di quanto io volessi, di questi mi spaventava il silenzio, di quello la loquacità; dell’uno la pesantezza e la pinguedine, dell’altro la magrezza e la salute cagionevole; di questi ancora mi sconsigliava la fredda indifferenza, di quest’altro la zelante attività”. A continuare con l’incontro, l’unico dell’intero viaggio: “Un vecchio pastore, che si sforzò con un gran discorso di dissuaderci dal salire, spiegando che cinquant’anni prima, spinto dal nostro stesso giovanile ardore, era salito fin sulla cima, ma non ne aveva riportato che pentimento e fatica, e il corpo e le vesti lacerate dalle rocce e dai rovi; né aveva mai udito che prima o dopo quella volta qualcuno avesse osato fare altrettanto”. E a procedere con la scelta del percorso: “Mio fratello, grazie a una scorciatoia attraverso il giogo del monte stesso, si dirigeva sempre più verso l’alto; io, più fiacco, scendevo a valle, e a lui che mi chiamava additandomi la via più diretta rispondevo che speravo l’accesso dall’altro lato fosse più facile”.
Il Ventoso di Petrarca ha assunto significati mistici, spirituali, religiosi, esistenziali, letterari. L’aretino, a sua volta, cita testi fondamentali (e immortali) per la sua (e per la nostra) coscienza. Ovidio: “Volere non basta, devi desiderare ardentemente per raggiungere lo scopo”. Virgilio: “Labor omnia vincit improbus”, la fatica ostinata vince tutto. E Sant’Agostino: “E gli uomini se ne vanno ad ammirare gli alti monti e i grandi flutti del mare e i larghi corsi dei fiumi e l’immensità dell’oceano e le rivoluzioni degli astri, ma trascurano sé stessi”.
Come dire che non c’è bisogno di pedalare sul Ventoux. Perché il Ventoux, volendo, è già dentro di noi.