Costantino Conti, detto “Tino”, è titolare di un cognome che ha proposto alla ribalta del ciclismo italiano diversi corridori, anche professionisti, con il medesimo cognome, del resto assai diffuso in varie parti d’Italia e che hanno gareggiato in differenti epoche.
Il nostro Tino Conti in questo caso è orgogliosamente brianzolo DOC, della Brianza lecchese, nato a Nibionno il 26 settembre 1945, dove tuttora risiede, precisamente in località Cibrone, centro in pratica equidistante da Lecco e Como con a sud Monza a distanza simile. È zona di antica tradizione tessile, situata nella parte collinosa della valle del Lambro.
E l’unico nome che propone l’onniscente Wikipedia fra i nati a Nibionno è appunto quello di Costantino Conti che, da qui in avanti, sarà solo Tino anche per noi, così come per tutti i suoi famigliari e amici.
Dopo le “imprese” da ragazzino in bici con i coetanei, in modo ludico e spensierato, dove del resto primeggiava senza eccessivi sforzi, inizia l’attività vera e propria agonistica, con il dorsale spillato sulla schiena, in una società con florido vivaio, indossando la blasonatissima maglia dell’U.C. Comense negli anni dal 1961 al 1964 quale esordiente ed allievo ottenendo validi risultati.
Passa dilettante con la Nucleovision nel 1965 e, l’anno seguente, gareggia con la Telewatt, con sede a Cinisello Balsamo, nell’hinterland nord di Milano fino al 1968. È qui che si mette in luce con le sue doti di fondista e scalatore conquistando, con una doppietta in maglia azzurra, le medaglie d’oro ai Giochi del Mediterraneo di Tunisi, sia nella prova in linea, sia nella cronometro a squadre con un quartetto che comprendeva anche i veneti Flavio Martini e Benito Pigato con l’abruzzese Vittorio Marcelli.
Qualificante e rivelatore delle sue doti di fondista e scalatore il secondo posto ottenuto nella classifica generale finale del Tour de l’Avenir, collaudato e probante banco di prova per importanti sviluppi di carriera come da relativo albo d’oro. E, al proposito, Tino Conti ricorda atteggiamenti ed atmosfere, anche interne alla squadra diretta dal C.T. Elio Rimedio, non proprio improntate all’unità d’intenti necessaria per consentire a Tino Conti d’aspirare al più alto gradino del podio.
Il 1968 è il suo ultimo anno fra i dilettanti per approdare, l’anno successivo, al professionismo inquadrato nella Faema che aveva, quale capitano, un certo Eddy Merckx. E il brianzolo riesce pure a vincere il Giro delle Marche.
Nel 1970 è ingaggiato dalla parmense Scic, squadra di primissimo rilievo tecnico che rivaleggiava con la concittadina Salvarani oltre che sul piano sportivo ciclistico anche su quello industriale specifico, un settore quello delle cucine componibile che in quel periodo ha proposto diversi marchi del settore impegnati nel ciclismo professionistico. A riprova Tino Conti, dopo i buoni risultati alla Scic, nel 1972 firma per la Ferretti di Capannoli, in provincia di Pisa, guidata dall’indimenticabile Alfredo Martini assistito da Franco Vita, altra produttrice di cucine vincitrice del Giro d’Italia 1971 con lo svedese Gosta Pettersson. Nell’anno alla Ferretti vince il Gran Premio Industria e Commercio di Prato con vari altri notevoli piazzamenti.
Altro cambio nel 1973, con il passaggio alla Zonca Lampadari di Voghera, presieduta da tre appassionati fratelli (Maffeo, Luigi e Giorgio) e guidata con la personale saggezza e precipua esperienza, dal d.s. Ettore Milano. Ancora buoni piazzamenti che, l’anno successivo, sempre inquadrato in questa squadra-famiglia, firma la vittoria alla Tre Valli Varesine, terzo posto al Giro di Lombardia e, per le corse a tappe, il quarto posto nella graduatoria finale del Giro d’Italia, oltre all’abituale serie di piazzamenti dignificativi.
Nel 1975 “cambia cucina” e gareggia con la maglia della Furzi di Piancastagnaio, formazione toscana, grossetana, con sede alle pendici del Monte Amiata diretta dal fiorentino Carlino Menicagli, e ritrova il piacere della vittoria proprio al Giro di Toscana, ancora il Gran Premio Industria e Commercio e la terza tappa del Giro di Puglia.
Nel 1976 rimane in Toscana, gareggiando con la maglia della pratese Magniflex dei fratelli Magni e conquista, in maglia azzurra, la medaglia di bronzo ai Mondiali strada di Ostuni, in Puglia, a soli 11” da Freddy Maertens e Francesco Moser, a riprova della sua caratteristica di fondista di vaglia.
È in pratica un ritorno a casa, alla Zonca-Santini, nel 1977, dove corre pure un omonimo di una dinastia ciclistica, l’umbro Franco Conti, fratello di Noè e padre di Valerio, ancora in attività, imponendosi nel Giro della Provincia di Reggio Calabria. Conclude la carriera pedalata l’anno seguente, il 1978, con la Gis Gelati ma senza particolari picchi di rendimento.
Il post carriera ciclistica lo vede ancora impegnato nel settore delle due ruote con un’azienda che produce abbigliamento ciclistico, la TCS Sport, acronimo evidente di Tino Conti Sport che mette a frutto le esperienze personali acquisite in vari anni di carriera.
L’impegno professionale non gli impedisce di seguire le corse, soprattutto nella sua zona ma non ha il tempo per impegnarsi in ruoli tecnici nelle formazioni agonistiche della zona.
Però, da quando si è ritirato dalle attività e gode un meritato riposo in compagnia della moglie, non manca di seguire con attenzione le vicende ciclistiche condividendole e vivendole con un vicino di casa, Antonio Penati, una lunga carriera quale giudice di gara nazionale, efficiente e risoluto giudice d’arrivo, grande esperto di ciclocross e tuttora inarrestabile cultore e raccoglitore seriale, se così si può definire, con straordinaria passione di ogni “memorabilia” ciclistica che custodisce gelosamente e ordinatamente e che occupano, sempre più, vari ambiente anche circostanti la sua abitazione.
Entrambi, Tino Conti e Antonio Penati, non sono grandi parlatori e con carattere piuttosto schivo ma fra loro due, nel dialetto natio sempre praticato, il dialogo, soprattutto ciclistico, trova sempre nuovi argomenti e spunti d’attualità, oltre ai ricordi.