Ieri è stato emozionante poter vedere in prima persona Fabio Jakobsen vincere la seconda tappa della Vuelta a San Juan. Dopo il suo terribile incidente al Tour de Pologne 2021 personalmente non mi era più capitato di vederlo alzare le braccia al cielo come inviata sul campo e ieri ho avuto l'impressione che in qualche modo fosse una nuova “prima volta”. «Amo correre e usare la mia bici. Il mio è un lavoro da sogno. Quello che ho passato dopo la caduta di due anni fa spero non debba mai provarlo nessuno. Io sono sopravvissuto e ho ritrovato la via del successo. È fantastico essere tornato a questo livello, sprintare è quello in cui riesco meglio. Resto umile e a ogni volata sento di avere una nuova occasione ogni volta. Sono felice di divertirmi ancora in sella» ha raccontato ieri dopo essere salito sul gradino più alto del podio di giornata, mentre io ripensavo al Tour of Guanxi 2018 quando lo conobbi per la prima volta.
All'epoca rimasi colpita dalla parlantina, dalla velocità di ragionamento, dalla consapevolezza nei propri mezzi di questo promettente velocista e scoprii che mamma e papà lo avevano chiamato Fabio in onore di Casartelli. Dopo quanto gli è accaduto il 26enne olandese della Soudal Quick Step è particolarmente sensibile alla sicurezza in corsa: «Il finale della prima tappa mi ha fatto paura, c'erano persone in strada e la deviazione finale non era chiara tanto che metà gruppo ha preso la via sbagliata. Io mi sono buttato sulla sinistra perchè mi sembrava la soluzione più sicura, non ho intenzione di rischiare nuovamente l'osso del collo. Come squadra siamo stati un po' sfortunati perchè ho perso Lampaert e Morkov, ma al traguardo ero felice che nessuno fosse caduto - confida. - La mattina successiva con i compagni ci siamo ripromessi di riprovarci perchè sapevamo che in uno sprint giusto saremmo stati i più veloci. Serry e Hirt controllano la corsa dal chilometro zero, Evenepoel prende in mano la situazione a 3 km dal traguardo e porta Lampaert fino al triangolo rosso, quindi Morkov mi lancia. Detta così suona semplice, ma la realtà è più complessa (sorride, ndr)».
Prima di ammirarlo nuovamente in azione oggi, gli chiediamo cosa dovrebbe fare l'UCI per rendere le corse più sicure. «Basterebbe far rispettare le regole che già ci sono, non esiste che la gente attraversi la strada quando stiamo arrivando. Il gruppo va veloce, deve avere una guida chiara e difese adeguate, non può trovarsi ostacoli e persone davanti. Non voglio cadere, soprattutto a inizio stagione e con tanti obiettivi nel mirino. La mia filosofia è “meglio perdere che cadere”. Le velocità sono alte, in questa corsa sono schierati 9 team World Tour quindi i picchi di velocità che raggiungiamo nei finali non sono da meno del Tour de France».