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STRADA & CORTILE
di Cristiano Gatti | 28/12/2022 | 08:20

Eppure a me non sembra una coincidenza. Non del tutto. È qui, sotto gli oc­chi della nazione, e non possiamo cavarcela dicendo che è solo una coincidenza. Va malissimo il ciclismo italiano e non se la passa meglio il calcio azzurro, insieme, nella stessa epoca, casualmente entrambi aggrappati alla consolazione di un titolo Europeo, cioè sono in crisi epocale i due sport più intimamente popolari, storicamente più amati e praticati del Paese, ma noi dovremmo chiuderla subito dicendo che è solo una coincidenza, una eccentrica congiuntura. Se davvero è così, mi pare proprio una coincidenza clamorosa. Ma sinceramente mi sembra troppo facile liquidarla così. Se si prova a scartabellare nelle feroci difficoltà, si può scoprire che non tutto è semplice e stravagante coincidenza. C’è dell’altro, come minimo.

Vorrei tranquillizzare chi teme che mi avventuri in una interminabile disquisizione storica e sociologica della faccenda. Niente, mi limito a qualche considerazione rapida. E parto dalla panoramica sui due mondi, pallone e bicicletta: visti dall’alto di un satellite, a debita distanza, entrambi si presentano con gli stessi sintomi, mancanza di campioni al vertice, ruolo marginale nel grande giro, pochi atleti che faticano a diventare protagonisti. Il ciclismo non ha club di primo livello e i pochi buoni so­no costretti a correre lontano da casa, il calcio ha club quotati ep­pure gli atleti italiani faticano a giocarci. In generale, c’è una net­ta e schiacciante predominanza dello straniero, anche se in forme diverse, comunque sostanziale, mai così imponente. Nel calcio, che pure ha squadra italiane, il controllo è comunque molto straniero, a livello di capitali.

Dunque come punto d’arrivo abbiamo un destino comune. Perdita di presenza e di importanza dei due sport là in alto, dove si fanno i giochi veri. Sia a livello di club, sia a livello di nazionali, queste ultime anche peggio, se possibile. Ed è guardando questa situazione comatosa, che tra parentesi in tutti e due i casi non segnala al mo­mento molti motivi per starcene comunque ottimisti sul futuro, è osservando il qui e adesso che ancora più struggente e penosa si fa la nostalgia, ripensando a quando l’Italia era la superpotenza di calcio e di ciclismo. Quale la causa, quale il problema?

Sarebbe materia da stati ge­nerali del Coni, con tan­to di studi universitari su andamenti del mercato e nuo­ve tendenze sociali. Ma a me pare di poter grossolanamente di­re subito, come se ne parlassimo a tavola, che la causa numero uno sia il restringimento - comune come il destino attuale - della base e della pratica, per la serie mamma mi si è ristretto il bacino. Facciamo mente locale (chi non è nato l’altra sera): fino a trent’anni fa, il primo calcio e il primo giro in bici erano scontati e generalizzati come il primo bi­beron e il primo bacio. Tocca­va­no a tutti, per via naturale, senza nemmeno chiedere. E questi esordi, queste pratiche iniziali, questi esperimenti quotidiani avvenivano in due luoghi precisi: la strada e il cortile. In bici si an­dava tranquillamente per strada, i primi rigori e le prime partitelle si giocavano in cortile. Possibile anche l’inversione, certo: pallone in strada, bici in cortile. Ma questa era l’infanzia, questa era la procedura di iniziazione alla vita esterna che toccava per eredità naturale alle nuove generazioni italiane. Naturalmente anche al­lora avevamo amici che andavano a tennis o a scherma, ma era­no mosche bianche guardate persino con compassione, qualche volta con sospetto, temendo pericolose perversioni personali.

Niente è più così. I cortili sono chiusi, chi prova a ti­rare una pallonata vie­ne denunciato in assemblea condominiale dal portinaio o dal de­latore che sta su al quarto piano. Quanto alle strade, lasciamo sta­re: il bambino che si avventuri adesso in strada, come si usava una volta, è chiaramente un preoccupante caso sociale. Le as­si­stenti sociali cominciano a te­nere d’occhio i genitori incoscienti, la vigilanza urbana parte con le sirene per ricondurlo subito a casa, temendo sia fuggito in un impeto di ribellione infantile. Nessuno gioca più in cortile, nessuno si avventura più per strada. E il calcio e il ciclismo, che lì sono sempre nati, non hanno più la loro incubatrice secolare. Adesso si inizia il calcio nell’organizzazione di qualche società e si comincia il ciclismo allo stesso modo. Ma la base di raccolta vo­cazioni si fa sempre più ristretta e se vogliamo anche meno fertile, perché dalla strada e dal cortile si sviluppavano l’estro e il talento in modo libero, mentre nelle strutture tutto ora viene disciplinato, programmato, controllato. E in definitiva anche soffocato.

Analisi troppo semplice, anzi semplicistica. Ac­cet­to il rilievo. È fondato. Però invito a considerare questo fatto: se è vero che lo sport è sempre espressione della storia, della tradizione, degli usi e costumi di un popolo, nessuno potrà negare che il tramonto della strada e del cortile un qualche effetto, pessimo, lo abbia avuto sugli sport più intimamente legati alla strada e al cortile. Previsioni, al­lora? Non so che dire, sulle previsioni non sono attrezzato, mentre giocavo in cortile e pedalavo in strada non ho maturato doti da Mago Otelma. Posso solo os­servare e sinistramente richiamare un terribile precedente: il pu­gilato. Figlio della miseria e dell’Italia arretrata, è andato via via svanendo con il miglioramento delle condizioni di vita e con l’evoluzione dei valori sociali. Penso anch’io che il calcio e il ciclismo non faranno mai la stessa fine, perché comunque anche il benessere e la civiltà prevedono pallone e bicicletta. Ma facciamo attenzione: senza cortile, senza strada, calcio e ciclismo si avviano a diventare sport come basket, tennis, nuoto, pallavolo, sci. Cioè sport sempre scelti per precisa volontà, ristretti comunque a una cerchia. Mai più sport che entravano nella nostra vita senza che neanche ce ne accorgessimo: cioè i gloriosi sport di tutti, gli sport quotidiani e veramente pop che portavano a galla i campioni.

da tuttoBICI di dicembre

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