E’ scomparso in questi ultimi giorni, nel weekend del ciclismo di ottobre dedicato da sempre al Giro di Lombardia e alla Parigi - Tours, il campione olandese Gerben Karstens. Nato a Leida nel gennaio ‘42, del segno ombroso e irriducibile del Capricorno, come nel ciclismo Maspes e Pantani, come Shakespeare e Newton in assoluto, Gerben Karstens è stato un protagonista per più versi anomalo ed irripetibile, nella storia del ciclismo.
Rampollo di una famiglia di solida borghesia, dinastia di notai, Karstens scelse infatti il ciclismo da giovane per una determinata vocazione alla fuga e alla solitudine. Un destino di avventura e in qualche modo di emozione al vento, contravvenendo al desiderio paterno, Gerben Karstens avrebbe vinto in carriera tappe al Giro, al Tour, alla Vuelta, e fondamentalmente avrebbe conquistato il ‘ Lombardia’ del ‘ 69 e la Parigi - Tours del 1974, venendo però in tutte e due le occasioni declassato per una irregolarità al controllo antidoping.
Velocista superbo ed ironico, finisseur sui Campi Elisi a Parigi nel ‘76, il tratto elegante e sorridente, lo ricordiamo alla Sei Giorni di Milano del 1980, una immagine bionda di ‘eroe negativo’, ci catturò per le sue vittorie e le sue sconfitte a posteriori, il simbolismo romantico delle stelle avverse, e ne facemmo per una delicata trasposizione letteraria il nostro ‘alter ego’ in ‘A Gerben, con simpatia’ del 1969 e in ‘Ti raccomando Raas’ del ‘96, i due romanzi di struggente adolescenza che noi (e in fondo una discreta letteratura italiana, pensiamo alla ammirazione tra gli altri di Prisco e Pomilio, di Raschi ed Ormezzano ) gli dobbiamo.
Gerben Karstens, uno sprinter ‘tres fantasque’ per poter diventare davvero un grande campione, come scrisse Pierre Chany, è finito - precisa una agenzia olandese - per un ‘colpo al cuore’. E da qui lontano, davvero non poteva esserci suo congedo se non per i motivi del cuore, in nome di quell’ amore che sul suo parallelo immaginifico a Napoli, fra via Petrarca e lo ‘Chalet Panorama’, in una ben altra preziosa stagione abbiamo declinato. A Gerben, ormai con nostalgia, diciamo solo grazie. Anzi, ‘gracia gracia gracia’, improprio italiano, come su un traguardo del ciclismo, al Giro d’ Italia, a Benevento 1973, ci disse lui.