Domani sarà il 9 ottobre. Domani sarà un'altra domenica di calcio. Domani sarà un'altra domenica di guerra in Ucraina. Ma domani sarà anche il primo giorno di ciclismo italiano senza Nibali. Non una giornata qualunque, allora. Certo non è da oggi che Nibali non vince più, ma è da quest'ultimo Lombardia che dovremo abituarci a sentirci un po' orfani e un po' vedove. Lascia l'ultimo campione completo, totale, assoluto, che il nostro sport possa vantare e ricordare. Il campione che non si risparmia, il campione che si spende, il campione che gioca tutte le partite, dalla primavera all'autunno, nelle corse in linea e nei grandi giri. Sarà che un paio di giorni fa – tu guarda le coincidenze – mi trovavo sulle Tre Cime di Lavaredo, ma è comunque lì che io fisso il mio ricordo, quel giorno del maggio 2013, lui imbattibile che sale in maglia rosa, sotto la tormenta di neve, andando a scrivere la pagina più bella e più romantica di una carriera favolosa.
Tutte passa, panta rei, si chiude a Como anche l'epoca magnifica e struggente di Nibali e dell'Italia che domina, ma proprio in questo momento così malinconico e crepuscolare mi piace pensare che comunque non proprio tutto finisca qui e così. Mi piace pensare che a Nibali, dopo tutto, sopravviva il nibalismo, impersonato dai cloni – o dai replicanti – di Nibali, cioè quel modo di intendere la professione e il ciclismo in senso totale, generoso, persino un po' folle e scombinato. Naturalmente parlo di chi resta e lo scalza, com'è normale nella grande ruota della vita, parlo prima di tutto dei Pogacar, che consideriamo battuto e magari persino finto fuoriclasse solo perchè è arrivato secondo al Tour (sottolineo secondo, mannaggia, secondo!), ma oltre a Pogacar dico di Evenepoel, Van Aert, Van Der Poel, cioè di quei campioni nuovi che - ciascuno nel modo più personale - comunque ripropongono l'idea naif e disinibita del ciclismo generoso, fantasioso, improvvisato, poetico, re-introdotto da Nibali quindici anni fa, proprio nel mezzo del ciclismo scientifico, programmato, schematico, rigido e dogmatico che aveva preso possesso della scena in modo prepotente e indiscutibile.
Ci saluta Nibali, ma un po' di Nibali resta in corsa. Per le strade del mondo, gli sopravvivono il coraggio, la follia, l'improvvisazione, in altre parole il gusto di andare alle corse senza manuali e senza libretti di istruzioni, magari con le radioline sulla schiena e nelle orecchie, ma solo per sentire le previsioni del tempo e l'avvertenza per una galleria poco illuminata, tutto il resto affidato alla libera interpretazione e alla libera improvvisazione del campione, senza calcoli e senza schemi, senza formule e senza teoremi, tutti i giorni spazio aperto al talento naturale, nel modo che il cuore e i sentimenti suggeriscono lungo la strada.
Ciao Vincenzo, grazie Vincenzo. Nel momento dei saluti finali, è consolante sapere che qualcosa hai lasciato, che qualcosa è rimasto, che qualcosa continua. Non hai corso invano, non hai vinto invano. Un certo stile, un certo modo, continua da qui in avanti. La bellezza della follia che tante volte in tanti ti hanno rinfacciato, quando magari hai buttato via un Mondiale o un'Olimpiade per eccesso di passione. E' quello che in fondo già rinfacciano a Pogacar, che non sa amministrarsi, che non sa controllarsi, che non sa misurarsi. Ma lascia che proprio in questo momento, mentre tu te ne vai a cercare nuove strade e lui vince il suo secondo Lombardia, lascia che proprio adesso noi possiamo tirare almeno una conclusione: il vostro modo di affrontare le corse e la vita, giudicato folle e incosciente dai ragionieri dell'esistenza, è invece la filosofia quotidiana che tutti vorremmo e dovremmo condividere. Perchè chi corre come voi vive ogni giorno un po' di vita in più, a differenza di chi calcola e misura ogni passo e ogni momento, condannandosi senza saperlo a morire ogni giorno un po' di più.